un po’ per mettermi in gioco e vedere cosa sarei riuscito a fare in condizioni difficili.
Il lavoro mi ha sempre impedito un’assenza per un periodo relativamente lungo che ritengo indispensabile per poter dare un apporto realmente utile.
Finalmente quest’anno nel periodo agosto-settembre sono riuscito a compiere quanto desideravo: già l’anno scorso avevo programmato tramite un’associazione di volontariato un periodo di trenta giorni presso un ospedale del Madagascar.
Appena arrivati ci si rende conto di quanto sia tutto più difficile per quelle popolazioni soprattutto nelle zone rurali: i servizi più elementari sono assenti o quasi, non esistono trasporti, acquedotti, fognature etc. Gli ospedali sono gestiti da associazioni occidentali di volontariato e per raggiungerli dalle zone più remote i malati possono impiegare giorni.
Sono strutture che si basano su donazioni per lo più di privati dove si cerca di ottimizzare ogni risorsa
eliminando qualsiasi spreco. Ci si trova a dover risolvere problemi di ogni tipo, organizzativi e clinici, per noi occidentali nuovi e spesso inaspettati.
La prima sensazione è che tutto sia inutile, perché quando andrai via tutto tornerà come prima; devi
superare la diffidenza dei capitribù e della popolazione, i pregiudizi religiosi, spesso arrivano malati già “curati” dagli sciamani o dalle matrone, soprattutto le donne, ed è davvero troppo tardi.
Poi pensi che dopo la tua partenza arriverà un altro volontario che continuerà il tuo lavoro e poi un altro ancora e ti rendi conto che forse non sei stato del tutto inutile.
A cura di Alberto Trimarchi.