Le autorità cecene, a capo di una repubblica autonoma della Federazione Russa, hanno iniziato alla fine di febbraio 2017 ad arrestare e torturare tutti coloro sospetti di essere gay. Almeno tre persone sono morte a seguito delle torture, le altre sono state rilasciate alle famiglie con la richiesta implicita di ucciderli. L’omosessualità, infatti, è una macchia sull’onore famigliare che può essere lavata solo con il sangue in Cecenia. Insieme ad All Out, lavoriamo da anni con le associazioni russe e abbiamo costruito un rapporto di fiducia che ci ha permesso di lanciare la prima campagna globale di raccolta firme sul tema e una raccolta fondi di straordinario successo per aiutare i nostri partner russi ad evacuare il maggior numero possibile di persone omosessuali dalla Cecenia. E questo è esattamente quanto accaduto nel caso della Cecenia. Di fronte a quello che il New York Time ha chiamato pogrom, un livello di violenza organizzata senza precedenti nella storia recente, abbiamo unito le forze con altre piattaforme che stavano raccogliendo firme, ma senza avere il rapporto con le associazioni russe che abbiamo noi. In questo modo abbiamo potuto offrire ai nostri partners più di 2 milioni di firme da consegnare. Sapendo che c'erano dei rischi connessi alla consegna, ho sentito il dovere di offrire ai nostri partners di accompagnare i loro attivisti locali. Siamo pronti a mettercela tutta per le nostre campagne, ma solo se i nostri partners sono d’accordo. E lo sono stati. Non smettevano mai di ringraziarci ed erano molto eccitati per un’azione senza precedenti in Russia. Volevamo solo chiedere alle autorità russe di assicurare alla giustizia i responsabili dei crimini in Cecenia. Ma non ce l’hanno lasciato fare: decine di poliziotti ci hanno arrestato e trattenuto per svariate ore, eravamo solo in cinque.
Cosa l’ha impressionata di più nel corso di questa “trasferta”?
La situazione in cui sono costretti a lavorare gli attivisti russi. Gli attivisti lgbt lavorano in specie di bunker sotto falso nome e non possono nemmeno rendere pubblico l’indirizzo dei loro uffici per timore degli attacchi omofobi.
L’omofobia è così pervasiva nella società russa che una catena di supermercati di lusso con cinque filiali tra San Pietroburgo e Mosca ha deciso di esporre un cartello all’ingresso con scritto “vietato l’ingresso ai finocchi”.
Ma il problema non è solo a livello sociale, è soprattutto a livello politico. In quel Paese non si può svolgere alcuna azione democratica senza incorrere in sanzioni amministrative. Recentemente altri attivisti italiani sono stati fermati perché stavano svolgendo un progetto di monitoraggio delle carceri russe con associazioni locali. Un Paese membro del Consiglio d’Europa non può comportarsi così. È un problema per tutti noi.
Quali altre iniziative sta portando avanti al di fuori dell’Italia?
Ora stiamo lavorando con i nostri partner russi e con ILGA-Europe affinché il Consiglio d’Europa nomini uno special rapporteur sulla Cecenia per far sì che i crimini contro le persone gay vengano chiaramente alla luce e i responsabili vengono assicurati alla giustizia. Inoltre, c’è l’emergenza umanitaria delle vittime: coloro che sono riusciti a lasciare la Cecenia, ma continuano a rimanere in Russia non sono al sicuro. Non possono neanche cercare lavoro per paura di essere individuati dalla milizia cecena o dai famigliari. Ecco perché chiediamo una procedura rapida per il rilascio del permesso di soggiorno degli omosessuali ceceni perseguitati. Questo non ha nulla a che vedere con i rapporti economici del nostro Paese con la Russia. Già in altri Stati esiste questa possibilità. Stiamo lavorando inoltre per far udire alla Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati degli attivisti russi, in modo che i deputati italiani abbiano informazioni di prima mano.
A cura di Yuri Guaiana