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Videosorveglianza: ieri e oggi a confronto

2/3/2016

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Vigilare sui beni e controllare l’operato dei dipendenti. La sottile linea di demarcazione e le novità post Jobs Act.
L’innato istinto umano del voler controllare le proprietà spesso rappresenta un sottile limite oltre il quale ognuno di noi non dovrebbe “sporgersi”. Il limite umano del controllo e della tutela dei propri beni spesso ha creato infatti delle situazioni di conflitto, a volte immotivato, scaturite anche da una diversa percezione dell’effettiva realtà.
Il termine “videosorveglianza” ci spinge a pensare che il controllo sia mirato alla tutela di “vigilare”, anche a distanza, su un bene a noi molto caro e prezioso.
In questo campo la tecnologia e la continua evoluzione la fa da padrone, non è un caso che tali tecniche siano spesso usate dalle società di videosorveglianza, per la tutela di patrimoni e di società non indifferenti; l’evoluzione impetuosa delle tecnologie, ha consentito, oggi, a molti imprenditori di poter controllare “a distanza” le proprie attività.
Per sua natura l’imprenditore tende a tutelare i propri investimenti, e grazie all’evoluzione che ha reso i costi delle telecamere bassi (soprattutto quei modelli IP, collegabili ad Internet) oggi è possibile controllare la propria azienda alla stessa stregua della propria casa, collegandosi tramite gli smartphone e simili.
Ecco che è necessario un intervento che tracci una linea di demarcazione netta tra il controllo dei beni e il controllo dell’operato lavorativo dei dipendenti e collaboratori in generale.
Capita spesso e di frequente, ormai, che, per motivi di sicurezza, gli imprenditori sentano la necessità di installare telecamere di sorveglianza che inquadrino determinate aree della struttura aziendale.
L’art. 4 della Legge 300/1970 (“Statuto dei lavoratori”) stabilisce, in maniera categorica, che è fatto divieto, al datore di lavoro, di utilizzare sistemi che consentano il controllo a distanza dell’attività lavorativa dei dipendenti.
Qualora preventivamente venga raggiunto un accordo con le rappresentanze sindacali aziendali (RSA o RSU) circa le modalità di utilizzo di tali attrezzature, è ammessa, di fatto, la possibilità di installare sistemi che abbiano finalità organizzative o produttive, come nel caso dei tesserini magnetici, che consentano anche il controllo a distanza dei lavoratori.
Ma a nessuno piace sentirsi “osservato”, ancor meno se non si è informati sul perché ci stiano “osservando”. Per tale motivo, qualora non vi sia una RSA a “vigilare” sulla corretta motivazione dell’installazione di un apparato di videosorveglianza, lo è la DTL competente per territorio.
Sarà sufficiente effettuare una semplice domanda di autorizzazione, in cui dovranno essere evidenziate le circostanze e le motivazioni che rendono necessario installare telecamere per motivi di sicurezza, oltre ad un’opportuna e specifica informativa circa la videosorveglianza dei dipendenti.
In questo caso, le telecamere dovranno avere delle spie luminose, per essere identificabili, ed essere installate solo in angoli dell’azienda potenzialmente a rischio rapina o di attività criminali, sempre tenendo conto della privacy delle persone.
Pertanto, la ripresa dell’attività lavorativa a distanza dei lavoratori deve essere occasionale ed esclusivamente finalizzata alla sicurezza aziendale e dello stesso dipendente e la visione dei filmati consentita solo in presenza di eventuali violazioni, furti, atti di vandalismo ecc. preventivamente denunciate all’autorità giudiziaria.
In assenza di tali “accorgimenti”, l’installazione dei sistemi di controllo deve ritenersi illegittima e il dipendente potrà rivolgersi sia al Giudice del lavoro, sia al Giudice penale per chiedere che sia inibito al datore di lavoro di continuare ad utilizzare sistemi che consentano il controllo a distanza.
Il Codice della Privacy (art. 114, D.Lgs. 196/2003) si pone quale regolamentazione aggiuntiva rispetto a quella settoriale di limitazione del potere di controllo del datore e impone una lettura integrata dei due sistemi normativi.
Il datore di lavoro che vorrà dotarsi di un impianto di videosorveglianza dovrà:
  • informare i lavoratori con appositi cartelli della presenza delle telecamere;
  • nominare un incaricato della gestione dei dati video ripresi;
  • posizionare le telecamere verso le zone a rischio, evitando di collocarle in maniera unidirezionale sui lavoratori impegnati nella loro attività;
  • conservare le immagini raccolte per un massimo di 24 ore dalla rilevazione (salvo speciali esigenze).
Lo scorso 23 settembre 2015 sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale gli ultimi decreti attuativi del Jobs Act, approvati in via definitiva durante il Consiglio dei Ministri del 4 settembre 2015.
Tra le modifiche più interessanti e discusse, l’annunciata revisione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori in materia di controllo a distanza dei lavoratori, che impatta sulla normativa del Garante Privacy per la videosorveglianza sui luoghi di lavoro.
La modifica in questione è stata commentata, prima ancora della pubblicazione del testo, da Governo e stampa generalista come una non indifferente “modernizzazione” delle disposizioni precedentemente vigenti in materia di controllo a distanza dei lavoratori, in accordo con il Garante Privacy, volta a consentire l’utilizzo di specifiche tecnologie di controllo dei lavoratori, seguendo quanto già posto in essere in America e negli altri Stati UE.
Tale provvedimento, da un lato introduce alcune nozioni certamente innovative sulle motivazioni e le metodologie di controllo a distanza dei lavoratori, ma dall’altro non sembra sovvertire la finalità e le caratteristiche generali della norma originaria, limitandosi sostanzialmente a spostarne il fulcro e a circoscriverne la portata applicativa a dettagliate fattispecie.
Il riformato articolo 4 dello Statuto, in buona sostanza, ammette la predisposizione di apparecchiature con finalità indirette di controllo a distanza dei lavoratori anche per la aggiuntiva finalità di “tutela del patrimonio aziendale”: le videocamere di un istituto di credito, ad esempio, poste per scoraggiare i furti, riprendono, tuttavia, l’ingresso e l’uscita dei dipendenti che accedono proprio per lo svolgimento delle proprie mansioni.
La portata innovativa finisce qui. Difatti, permane la necessità di sottoporre le apparecchiature di videosorveglianza che si intendono installare alla preventiva approvazione delle organizzazioni sindacali e/o dell’amministrazione pubblica deputata, pur con le sensibili differenze: non sarà necessario un accordo sindacale o un’autorizzazione ministeriale per l’utilizzo di strumenti che servono al lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e per quelli di registrazione degli accessi e delle presenze.
In realtà si ritiene che sia questa, forse, l’unica vera e sensibile innovazione della norma. Il comma 2 dell’art. 4 dello Statuto permette il monitoraggio a distanza dei dipendenti senza necessità di alcuna preventiva autorizzazione in due specifiche condizioni:
1.mediante strumenti che servono al lavoratore per rendere la prestazione lavorativa, come quello utilizzato dalle ditte di trasporti che monitorano la posizione dei propri dipendenti tramite la posizione GPS dei terminali dagli stessi utilizzati per le consegne;
2.con strumenti per la registrazione degli accessi e delle presenze: come il caso della telecamera installata nella macchina che legge i badge all’ingresso di un ufficio, necessaria per evitare comportamenti abusivi.
Solo in questi specifici casi, dunque, non sarà più necessario l’accordo sindacale o la notifica alla DTL, con conseguente e notevole snellimento delle procedure a carico del datore di lavoro.
Data la portata certamente rilevante di tale nuova possibilità, il legislatore ha cura di specificare che ciò possa essere fatto “a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli”, nel rispetto del Codice Privacy.
Allo stato di fatto, l’unico riferimento circa le modalità di informazione per la videosorveglianza si rinviene nel provvedimento dell’8 aprile 2010 del Garante Privacy dove si prescrivono le modalità mediante le quali è possibile informare in maniera “semplificata” i passanti circa la sottoposizione a videosorveglianza di uno specifico locale.
È plausibile ritenere che tale normativa dovrebbe essere almeno in parte integrata, non essendo del tutto conferente con le finalità della videosorveglianza ai fini di controllo a distanza: il tradizionale cartello di avviso di videosorveglianza potrebbe essere “poco” chiaro. Non sarebbe male se l’impresa che adotta i sistemi di videosorveglianza fornisse un’informativa scritta a tutti i propri dipendenti, dettagliando nella stessa termini, scopi e condizioni della ripresa video per fini di controllo a distanza, che, seppur breve, sarebbe atta ad evitare fraintendimenti ed abusi!
 
A cura di Carmela Parisi
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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