I sondaggi hanno evidenziato che il tema del welfare aziendale si pone con forza, per svariati motivi: i mutamenti nei bisogni dei lavoratori; le loro crescenti difficoltà nel coniugare gli impegni professionali con quelli familiari; la progressiva contrazione del welfare pubblico; la crescente consapevolezza da parte degli imprenditori della cruciale importanza della serenità e della motivazione dei propri dipendenti al fine di ottenere un’adeguata produttività.
Ebbene, tutti i sondaggi di cui sopra, hanno evidenziato un quadro da cui risulta che il welfare aziendale, se ben progettato ed altrettanto ben gestito, può fornire vantaggi sia ai lavoratori che alle aziende. Di converso, lo stesso quadro ha mostrato che la situazione attuale, sebbene in via di miglioramento, è ben distante dalle aspettative, in quanto se ne attua troppo poco e con troppi errori.
Dai risultati dei sondaggi sembrerebbe emergere che, buona parte dei (non molti) progetti di welfare attualmente in atto, tendono spesso a fallire perché molte aziende li vedono ancora come strumenti tesi al miglioramento della propria immagine, mentre, nella realtà, essi sono degli importanti strumenti di attrazione, gestione e fidelizzazione delle risorse umane che, come detto, se correttamente impostati e gestiti, potrebbero produrre miglioramenti del clima aziendale ed aumenti di produttività.
Il welfare rappresenta un importante terreno di incontro in cui si rende possibile soddisfare i bisogni dei lavoratori, ma con costi aziendali spesso inferiori rispetto ad un semplice aumento in denaro.
A tal fine giova ricordare che il comma 2 dell’art. 51 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) prevede particolari criteri di imposizione o, meglio, di esenzione per numerose opere e servizi di varia natura, tra cui alcuni nel caso in cui la loro erogazione sia prevista da accordi o contratti collettivi, ed altri nel caso in cui il loro utilizzo venga messo a disposizione dei dipendenti volontariamente da parte del datore di lavoro, per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria, o culto.
Gli ostacoli, purtroppo, oggi esistenti sono di carattere culturale e di resistenza al cambiamento da parte di tutti gli attori coinvolti: aziende, lavoratori e, anche se in misura inferiore, sindacati.
Per la buona riuscita di un piano di welfare aziendale è fondamentale concentrarsi sull’ascolto dei bisogni espressi dai dipendenti, per evolvere dalla, seppur importante, soddisfazione dei bisogni primari verso strumenti quali il sostegno dei carichi di cura familiare (in primis bambini ed anziani), verso la flessibilizzazione degli orari e delle modalità organizzative del lavoro (magari telelavoro, perché no?), verso la semplificazione delle attività quotidiane (disbrigo di pratiche, spesa, lavanderia, ecc.), oppure ancora verso servizi di trasporto od opportunità di svago e tempo libero.
A dire il vero, moltissime aziende già oggi utilizzano in maniera diffusa e generalizzata benefit inerenti l’alimentazione (bestseller fra tutti, il ticket restaurant), ma si tratta solo di un piccolo, timido passo verso qualcosa di più importante e, probabilmente, meglio “percepito” dai lavoratori stessi.
Ad esempio, dal target di lavoratori intervistati nel corso delle ricerche citate, è emerso che il welfare attinente l’alimentazione è particolarmente gradito soprattutto nella fascia dei lavoratori più giovani (dove, naturalmente, le retribuzioni sono più ridotte), mentre al crescere dell’età cambiano i desiderata.
Nella fascia d’età fra i 40 ed i 49 anni (ove normalmente si rintracciano i lavoratori maggiormente specializzati che, quindi, le aziende tendono a trattenere presso di sé ovvero cercano di attrarre al proprio interno strappandoli alla concorrenza), la maggior parte dei lavoratori gradirebbe maggiormente benefits inerenti la cura ed assistenza di bambini ed anziani.
Nella medesima fascia d’età è anche molto alta la percentuale di lavoratori che gradirebbero benefits attinenti l’attività lavorativa o, ancora, assistenza medica e/o burocratica (ad esempio, un servizio professionale che, messo a disposizione dei lavoratori, eviti loro il fastidio di preparare la dichiarazione dei redditi, risulta estremamente gradito fra i lavoratori delle aziende che lo hanno predisposto).
Tra le principali difficoltà riscontrate da aziende e lavoratori nell’implementazione di un piano di welfare, dopo le reali o presunte motivazioni legate ai costi, alla crisi perdurante ed alle difficoltà organizzative, le rilevazioni evidenziano alcune cause determinanti:
• la poca convinzione da parte del management aziendale;
• l’incapacità di individuare e di saper soddisfare le esigenze dei dipendenti;
• le esperienze non sempre positive riportate da altre aziende.
Da dove cominciare dunque? L’abbiamo già detto, ma vale la pena di ricordarlo: dall’ascolto e dalla valutazione delle reali esigenze dei lavoratori direttamente interessati.
Importante è, inoltre, differenziare per categorie di dipendenti l’offerta di benefits e servizi, costruendo piani di welfare flessibili nell’articolazione e, possibilmente, modificabili nel tempo.
Ma dalle ricerche citate emerge ben chiaro un dato su cui concordano sia aziende che lavoratori: la necessità che i piani di welfare vengano sviluppati in chiave moderna in un futuro molto prossimo, in quanto così come sono stati concepiti fino ad oggi, soddisfano solo in parte le esigenze dei lavoratori, con un tasso di insoddisfazione che troppo spesso i responsabili aziendali sottovalutano o addirittura ignorano.
A cura di Bruno Bravi