L’Italia ha visto resuscitare anche il fenomeno delle piazze contrapposte, ma senza più quella monopolizzazione partitica che le aveva caratterizzate in passato.
Da una parte, viene espressa una domanda di inclusione sociale e si chiede il rispetto dei diritti umani di tutte e di tutti, oltre che delle sentenze della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Dall’altra, si scende in piazza per riaffermare una visione ideologica di famiglia del tutto scollata dalla realtà, per escludere le coppie dello stesso sesso e le famiglie omogenitoriali, ma anche tante coppie eterosessuali e famiglie che non si adeguano al modello da costoro propagandato, spesso usando l’etica come una clava contro altri cittadini e assumendosi, pertanto, la responsabilità di renderla patetica.
Dopo i maldestri tentativi di invocare l’incostituzionalità di un testo chiesto da più di una sentenza della Corte costituzionale, si tenta di attaccare il cuore del DDL, l’articolo 5, che prevede l’estensione alle coppie dello stesso sesso dell’adozione del figlio del partner, già presente nel nostro ordinamento dal 1983.
Di fronte all’ipotesi che l’articolo 5 possa venire modificato, stralciato o demandato a una delega al Governo, le associazioni LGBTI hanno detto più volte che il testo attuale è già un compromesso rispetto alle rivendicazioni del movimento e che ulteriori passi indietro sono irricevibili.
L’adozione del figlio del partner è una misura di civiltà che non concede nuovi diritti alle persone LGBTI di questo Paese, ma riconosce un minimo di tutela a cittadini italiani minorenni che non possono essere discriminati per l’orientamento sessuale dei propri genitori.
Il testo del DDL Cirinnà è valido. L’idea di base che lo anima, secondo cui le unioni tra persone dello stesso sesso devono determinare effetti del tutto identici rispetto a quelli del matrimonio, costituisce un condivisibile punto di partenza.
Tuttavia, le diversità relative al nome dell’istituto, alle formalità di celebrazione e al divieto di adozioni (ad esclusione dell’adozione del figlio del partner) perpetuano preconcetti discriminatori che bisognerebbe spazzare via e non rinnovare.
Nel passaggio dalla Commissione al Senato si è aggiunta un’altra odiosa discriminazione dovuta all’intento di escludere ogni possibile rimando alla famiglia - che già aveva prodotto l’infelice locuzione “specifiche formazioni sociali” - e di ribadire lo status di inferiorità delle unioni civili rispetto al matrimonio: se uno dei due partner dovesse cambiare sesso e voler rimanere nella relazione d’origine, non vedrebbe trasformata l’unione civile automaticamente in matrimonio, mentre il matrimonio si trasformerebbe automaticamente in unione civile.
Un emendamento per eliminare questa discriminazione è stato proposto dall’Associazione Radicale Certi Diritti e presentato da alcuni Senatori. Speriamo venga votato dall’Aula.
Insomma, siamo di fronte a un passo incerto che l’Italia sta facendo per entrare nel XXI secolo. Compiamolo in fretta affinché se ne possano fare subito altri e metterci al passo dei Paesi più avanzati.
A cura di Yuri Guaiana