Camminiamo lungo la stretta balconata che sormonta la cupola ellittica più grande al mondo, la quinta cupola in assoluto per dimensioni. A 75 metri da terra.
È come se, una volta saliti sulla Torre di Pisa, scalassimo ancora quattro statue del David di Michelangelo, impilate una sopra l’altra. Solo allora raggiungeremmo la stessa altezza dal suolo.
Guardare in basso può dare le vertigini, ma la meraviglia vince ogni paura.
Dove esattamente? A Vicoforte, un paesino in provincia di Cuneo, vicino a Mondovì. Qui sorge un imponente Santuario, capolavoro del Barocco piemontese, che ha per fondamenta 600 anni di devozione mariana.
Il Santuario di Vicoforte, dedicato alla Natività di Maria Santissima, sorge nel luogo in cui, a fine Quattrocento, era stato eretto un pilone votivo, all’epoca nel fitto di un bosco. Secondo la leggenda, un secolo più tardi un cacciatore sparò accidentalmente contro il pilone, seminascosto tra i rovi. Lo sparo deturpò l’immagine della Madonna col Bambino, da cui sgorgarono gocce di sangue.
Per celebrare il fatto, ritenuto miracoloso, sul finire del Cinquecento fu costruita una piccola cappella intorno al pilone. Troppo piccola per accogliere il via vai sempre più massiccio dei pellegrini. Così, grazie al sostegno economico del Duca Carlo Emanuele I di Savoia, si decise la costruzione di un Santuario vero e proprio.
Il progetto fu affidato ad un architetto orvietano già attivo alla corte sabauda, Ascanio Vitozzi, che propose un’architettura monumentale. I lavori iniziarono, ma la morte di Vitozzi prima e quella del Duca poi, bloccarono per quasi cent’anni il cantiere.
A riprendere la costruzione fu l’architetto monregalese Francesco Gallo che, nel primo trentennio del Settecento, corresse alcuni difetti strutturali della parte già edificata, progettò e realizzò il tamburo e poi la cupola che vi si appoggia. La cupola ellittica più grande al mondo, un primato che resiste tutt’oggi.
Ma l’ardita monumentalità del Santuario si scontra da sempre con gravi problemi statici, dovuti al terreno argilloso su cui sorge.
Cedimenti delle fondazioni e danni strutturali si sono sommati per decenni, sino a mettere in discussione la stabilità dell’intero edificio. Prima che fosse troppo tardi, nel 1986 fu inserito all’interno della muratura del tamburo un sistema di cerchiaggio in acciaio ad alta resistenza, volto a contenere le azioni spingenti della cupola, che i cerchiaggi originari in ferro non erano più in grado di bloccare.
Da allora è attivo un incredibile sistema di monitoraggio, completamente rinnovato nel 2002, che registra in tempo reale lo stato di salute della costruzione.
E arriviamo all’anno scorso: tra maggio e ottobre, in concomitanza con l’Expo, per la prima volta apre al pubblico la salita alla cupola del Santuario. Quasi 23.000 i visitatori del percorso-evento “Magnificat”. Un successo che non poteva non essere replicato.
Così, ad aprile di quest’anno la cupola è tornata visitabile. Si ripete lo spettacolo di Magnificat, in scena fino al prossimo 30 ottobre.
Si avanza lungo uno stretto percorso, ripido in certi frangenti, in totale sicurezza.
Imbragatura, casco in testa e bocca aperta. Sì, perché passo dopo passo, gradino dopo gradino - in totale se ne salgono 266 - ammiriamo da vicino un prodigio di architettura unico al mondo, ne scopriamo le nervature interne, ci camminiamo.
Passiamo accanto alle sofisticate tecnologie che controllano la staticità dell’edificio, attraversiamo anguste gallerie dalla bassa volta a botte, gli antichi camminamenti riservati alle maestranze.
Al seguito della guida e accompagnati da un addetto alla sicurezza, arriviamo alla prima balconata che corre lungo il perimetro interno, alla base della cupola. Qui, a circa 23 metri da terra, godiamo di un suggestivo affaccio sulle meraviglie del Santuario. Ma il meglio deve ancora venire.
Ci inerpichiamo su per una scala a chiocciola in mattoni, ne superiamo un’altra a pioli, arriviamo a camminare sopra la cupola, fra travi di legno polverose.
Un’ultima scaletta ci conduce alla luce del sole, all’esterno del “lanternino” che poggia sopra la cupola.
L’aria è frizzante, la vista grandiosa: siamo in vetta al Santuario, sulla sommità della cupola, incuneata fra morbide colline che incontrano le Alpi. Entriamo per una porta massiccia nel lanternino, dove una stretta balconata domina dall’alto l’interno del Santuario.
Sopra le nostre teste, solo il cupolino. Sotto di noi, 75 metri più in basso, i devoti in visita, piccole formiche.
Da quassù ammiriamo gli affreschi della cupola da una prospettiva tutta nuova.
Sono oltre 6.000 i metri quadri decorati con l’affresco a tema unico più esteso al mondo, che ritrae i momenti salienti della vita di Maria.
Diversi pittori contribuirono all’opera. Dopo i primi, bocciati perché giudicati inadatti al compito, furono Mattia Bortoloni da Rovigo e il milanese Felice Biella a completare l’affresco, negli anni Quaranta del Settecento.
L’affresco ricopre tutta la superficie interna della cupola, uno spazio liscio e continuo che impegna gli artisti ad immaginare e dipingere le cornici architettoniche entro cui collocare figure e storie.
Lo stile si ispira chiaramente alla pittura di Giambattista Tiepolo. Trompe-l’oeil e toni chiari dominano la scena, immersi in una luminosità radiosa, tra nuvole impalpabili.
Da quassù cogliamo l’inganno delle prospettive, smascheriamo gli artefici messi in campo dai pittori: le figure umane dipinte sulla superficie curva della cupola, che dal basso appaiono ben proporzionate, qui risultano “sformate”.
Ma non perdono di solennità, intente a volteggiare in uno spazio etero, luminoso e leggero.
E qui in alto ci sentiamo davvero leggeri. Leggeri e piccoli di fronte ad una maestosità senza pari.
A cura di Francesca Vinai