Il primario che acquista valvole cardiache scadenti e che ritrova successivamente pazienti in gravi condizioni o addirittura morti dopo l'intervento, non desta riprovazione per il fatto di aver percepito denaro per fare scelte sbagliate, quanto per il fatto stesso di averle fatte.
Il politico che percepisce tangenti per pilotare un appalto non è da condannare per aver violato una o più leggi dello Stato, ma perché ha commesso un'azione che nella sua posizione non doveva essere commessa, perché l'etica avrebbe dovuto impedirglielo.
Anche a livello di impresa alimentare quello dell'etica è un argomento di cui si sente un gran bisogno e ciò si evince chiaramente da molti eventi, come per esempio dal fatto che tutti i maggiori standard certificabili internazionali impongono al candidato la redazione di un codice etico, cioè di una dichiarazione d'intenti in cui la Direzione dell'impresa fissa i paletti di comportamento a cui ufficialmente dichiara che si atterrà per il futuro.
Etica, onestà e trasparenza si intravedono anche nelle sezioni dei codici etici più diffusi in settori nevralgici, come la sicurezza sul lavoro o la prevenzione dei reati ambientali, dove il rispetto per tutto ciò che circonda l'azienda travalica nettamente gli aspetti meramente economici, sia che si parli di acqua, di aria, di ambiente o di persone che in esso vivono e lavorano.
Un mondo produttivo come il nostro, in cui si valuta comunemente la performance aziendale in termini di produttività netta o di risparmio nei costi o di aumento della penetrazione di mercato e nulla più, forse è arrivato a fine corsa, non tanto per colpa della fatidica crisi, quanto per le conseguenze che da essa direttamente derivano.
Controlli pubblici discontinui e disomogenei, insieme con normative talvolta incongruenti e contraddittorie spesso creano le condizioni ed il substrato giusto, per la nascita e la crescita di comportamenti al limite del legale o anche dichiaratamente inaccettabili, soprattutto nei settori dove maggiore è la domanda di etica.
È infatti chiaro, al di là di ogni ragionevole dubbio, che comunque siano scritte le leggi e chiunque sia il controllore preposto a verificarne l'attuazione, l'etica professionale e lavorativa non può essere normata, insegnata o regolamentata, perché o c'è o non c'è.
Se da un lato questa considerazione potrebbe rallegrare, perché in fondo permetterebbe di raggiungere risultati apprezzabili in modo più facile, dall'altro però inquieta, data la diffusa tendenza tipicamente italiota a non fare nulla, se una specifica legge non lo impone.
La funzione copia-incolla presente in tutti gli elaboratori di testo per computer ha fornito un'arma terribile a tutti i creatori di vuota ed inutile carta fine a sé stessa ed ha consentito la clonazione di codici etici facilmente reperibili su Internet, svuotando un'attività assolutamente di primaria importanza di ogni significato sociale ed applicativo pratico.
Peccato, perché se è vero che il mondo viaggia così, è però del resto vero che la storia degli ultimi 5 o 6 anni ha dimostrato che questa strada non è quella giusta e che la direzione deve essere cambiata. Occorre riportare l'impresa in una dimensione sociale che ha purtroppo in larga misura perduto, fatta di presenza sul territorio, di interazione con le persone, di sostegno all'economia spicciola della gente comune, di motore importantissimo di un più generale benessere collettivo e diffuso, di restituzione al proprio habitat di una parte degli introiti da esso ottenuti.
Come possono entrare i professionisti della salute e cioè medici, veterinari, tecnologi alimentari, biologi, chimici, avvocati, ecc. in questi bei discorsi? Entrano pesantemente in tutte le filiere alimentari in cui sono presenti, negli allevamenti che seguono direttamente, nelle istituzioni pubbliche in cui sono inseriti, talvolta con incarichi di primo piano, perché l'etica delle imprese non parte dalle imprese stesse, che sono entità inanimate di per sé, ma dalle persone che decidono al loro interno e le trasformano in soggetti economici di successo.
Per questo motivo, l'impegno etico delle aziende alimentari nei confronti dei clienti può essere importantissimo ed estremamente pratico, da capire e da applicare, per il semplice motivo che, indipendentemente dalla considerazione che possa piacere o meno, l'aria che tira è questa.
La cura ed il benessere degli animali, l'impiego responsabile dei farmaci, le valutazioni di impatto ambientale, la correttezza contrattuale ed il comportamento verso i dipendenti e collaboratori, il rispetto per il cliente e consumatore, la tracciabilità delle merci con tutte le sue valenze fiscali, sono solo alcuni macroscopici esempi del vastissimo mondo della quotidianità operativa delle imprese, in cui l'etica dovrebbe entrare a piene mani ed in cui i consulenti dovrebbe operare attivamente.
Tanto sono vasti ed importanti gli argomenti citati e tanto è difficile il lavoro da fare, talvolta ostico al punto da risultare impossibile da portare avanti, se non con una tenacia ed una volontà ferrea, perchè le leggi ineludibili del commercio impongono di distribuire dividendi agli azionisti o di incrementare gli introiti dell’imprenditore con costanza, altrimenti avanti non si va.
Troppi imprenditori italiani sono abituati a ragionare in termini di verifica delle entrate e uscite e nulla più, esponendo pesantemente le loro imprese a rischi molto gravi, come peraltro la crisi ha ampiamente dimostrato, di trovarsi totalmente impreparati in caso di rovesci improvvisi o, peggio, di andare a traino del mercato, cioè facendo le cose solo dopo che le abbiano fatte tutti gli altri competitori, etica compresa.
Questa mentalità retrograda ed ottusa è purtroppo diffusissima ed è contro di essa che bisogna lottare, parlando di etica, di ambiente, di tutela del lavoro, di scenari lontani, di aria che tira, di ciò che c'è da fare proprio perché nessun altro lo fa, di trasparenza a 360 gradi, di collaborazione con l'Autorità Competente, di rispetto del consumatore. Sarà un lavoro duro, ma si sa, qualcuno lo deve pur fare.
A cura di Ferruccio Marello