La crescita economica europea e la successiva stabilizzazione della politica e dell'economia turca hanno portato negli anni una serie di positivi “dividendi” nelle relazioni fra le due parti: ciò ha permesso, nel corso degli anni '90 e durante i primi anni 2000, anche una serie di riflessioni sulla possibile adesione politica della Turchia all'Unione europea. Successivi sviluppi, però, sostanzialmente congelarono questo processo.
Ben diverse, invece, rimasero le prospettive economiche; con la fine degli anni 2000 e l'inizio del successivo decennio il PIL della Turchia crebbe vertiginosamente, arrivando addirittura a +9% negli anni 2010-2011.
Questo trend permise quindi una maggior interazione economica fra l'Unione europea e il paese anatolico, con effetti positivi su entrambi i mercati. Per dare qualche dato: secondo stime del 2013 fra i principali sei partner dell'export turco ben quattro erano europei, ovvero Germania (9%), Gran Bretagna (5.7%), Italia (4.5%) e Francia (4.2%). Un discorso analogo vale per le importazioni, con Germania e Italia che da sole contribuiscono quasi al 15% dell'import turco.
Le relazioni UE-Turchia, quindi, presentano un solido background e delle grandi potenzialità. L'Europa, ad esempio, può fornire materiali e tecnologie avanzate, know-how o moda; la Turchia invece è un forte esportatore di tessili e vestiti, alimenti processati e prodotti metallici, oltre ad essere ormai un hub energetico di primaria importanza, grazie alla sua posizione strategica ed alla vicinanza con paesi esportatori di petrolio e/o gas quali l'Iran o l'Azerbaijan.
Le attuali relazioni economiche UE-Turchia sono basate su un accordo noto come Custom Union Agreement (in italiano “Unione Doganale”) entrato in vigore nel 1995. Per vent'anni gli scambi commerciali fra i due partner si sono svolti nell'ambito di questa cornice, creando una success story o, come detto da un recente rapporto della Commissione europea, uno “sforzo pionieristico rimasto unico”.
Dal 1996 ad oggi l'interscambio commerciale si é quadruplicato, chiaro segnale dell'integrazione delle due economie. Oltre alla mera crescita degli scambi, poi, l'Unione Doganale ha permesso alla Turchia di allinearsi agli standard europei, comportando anche dei sensibili miglioramenti per i consumatori turchi.
A vent'anni di distanza, quindi, si può dire che l'accordo del 1995 sia stato un successo ed abbia contribuito concretamente al benessere di entrambe le parti, in una logica definibile win-win.
Eppure, come recentemente annunciato dalla Commissaria europea Cecilia Malmstrom e come pure evidenziato dai rapporti della Banca Mondiale, è giunto ormai il momento di revisionare la Custom Union, aggiornandola e adeguandola all'attuale livello di scambi fra Unione europea e Turchia. Ad esempio l'attuale accordo copre solamente i beni industriali e i prodotti agricoli lavorati: queste previsioni, sicuramente in linea con la situazione economica turca ed europea degli anni '90, sono oggi superate.
La Turchia e l’UE, quindi, hanno quindi comune interesse a rinegoziare la CU tenendo conto di diverse variabili, ovvero:
- Allargare i settori di competenza della CU, includendo alcuni nuovi ambiti ormai trainanti per l'economia, quali i beni agricoli non lavorati (ad esempio olio o pomodori), il mercato dei servizi, gli investimenti e gli appalti pubblici (public procurement);
- Risolvere alcune asimmetrie, quali la mancanza di un organismo di consultazione e di decisione riguardo alla CU, il ruolo dei vari accordi di libero scambio (Free Trade Agreement o FTA) in vigore in UE ma non in Turchia e la questione delle "quote stradali" o road quotas, per la circolazione di veicoli da trasporto turchi in Unione europea;
- Il possibile impatto del TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) nelle relazioni UE-Stati Uniti e quindi, di conseguenza, UE-Turchia, anche in chiave politica e geopolitica.
Il combinato disposto di questi elementi, quindi, rende la rinegoziazione della CU fra UE e Turchia un ambito affascinante ma alquanto complesso. Per questo l'Unione europea e le sue istituzioni dal 2014 hanno iniziato ad affrontare i vari step per aggiornare l'Unione Doganale, in un'ottica di avvicinamento delle due economie.
La rinegoziazione della CU, quindi, presenta una serie di notevoli potenzialità ma anche qualche elemento dubbio.
Vi è però un dato di base: la Turchia è un paese che negli ultimi venti anni è profondamente cambiato, ha un mercato interno imponente (oltre 80 milioni di consumatori) ed una dinamicità economica ben lontana dalla stasi o dalle crisi che attanagliano diversi stati europei. In un certo senso, quindi, si può dire che oggi Europa e Turchia siano partner più "simmetrici" rispetto allo squilibrio di metà anni '90.
Questo maggior allineamento potrebbe portare dei frutti molto positivi nei nuovi settori che andrebbero negoziati: secondo stime della Banca Mondiale, infatti, la revisione della CU e l'inclusione dei nuovi ambiti potrebbero generare maggiori ricavi per 1,1 miliardi di dollari. Basti pensare che il settore dei servizi costituisce il 60% dell'economia turca e l'agricoltura un altro 10%, ma oggi entrambi sono fuori dalla custom union. Includerli, quindi, sarebbe un immediato valore aggiunto per le relazioni economiche dei due partner, anche se l'integrazione di nuovi settori richiederebbe una certa gradualità: nel campo agricolo, per esempio, l'UE ha delle regole alquanto severe in materia di sicurezza alimentare alle quali la Turchia dovrebbe adeguarsi.
D'altro canto, alcuni recenti annunci della Commissione europea hanno generato critiche, come ad esempio la questione delle road quotas, che riguardano la quantità di camion stranieri, in questo caso turchi, che possono transitare nei singoli paesi. Questa questione, alquanto complessa, secondo le intenzioni della Malmstrom dovrebbe essere uno dei primi settori di negoziazione.
Attualmente ogni Stato dell'Unione è libero di attribuire quote per la circolazione di veicoli da trasporto non nazionali, sulla base di accordi bilaterali fra il singolo stato ed il paese terzo. La Turchia, forte di una capacità di trasporto su gomma molto sviluppata (per intendersi 75.000 circa fra camion e autocarri merci) ha ripetutamente chiesto all'UE ed agli stati membri di abolire le quote, in quanto, secondo Ankara, queste sono contrarie alla CU, e frenano la capacità di movimentazione merci della Turchia stessa. D'altro canto, lamentano altri stati membri, l'allargamento o l'abolizione delle quote creerebbe uno scompenso nel mercato o addirittura della vera e propria concorrenza sleale, poiché gli operatori turchi (ma anche di altri paesi extra UE, come ad esempio Moldavia o Albania) potrebbero praticare prezzi ben più competitivi, andando a quindi a svantaggiare gli operatori europei.
A breve uno studio della Commissione europa dovrebbe fornire alcune valutazioni sui risultati di un possibile innalzamento delle quote per la Turchia; nel frattempo, però, occorrerebbe evitare anticipazioni di negoziazioni senza considerare l'intera CU.
In altre parole, le possibili riforme in materie settoriali che oggi sembrano indispensabili, devono essere inserite in un quadro più ampio di rinegoziazione dell'Unione Doganale, e non essere oggetto di accordi separati. Per quanto urgente, accelerare la discussione di alcuni capitoli negoziali senza una visione generale rischierebbe di impattare in modo negativo sulle relazioni d'insieme UE-Turchia.
Nel corso dei prossimi mesi questo tipo di analisi e valutazioni saranno oggetto di discussione non solo dei singoli Governi, ma anche nel Parlamento europeo.
E questo è il compito che come Presidente del Gruppo di Monitoraggio UE-Turchia del Parlamento europeo intendo svolgere al fine di contribuire al risultato negoziale più equo ed efficace per ambo le parti.
A cura di David Borrelli