È così che affrontiamo il nostro primo safari nella savana. Incredibile? No, se si va in Sudafrica a fine giugno: nella parte opposta dell’emisfero, l’inizio della nostra estate coincide con l’ingresso nella stagione invernale.
È mattino presto, il cielo è ancora nero come la pece e la temperatura molto bassa. Solo qualche ora dopo ci riscalderà un sole più che tiepido.
Fotocamera al collo, binocolo a portata di mano, un piccolo zaino con snack, acqua e una cartina. Siamo pronti.
Dopo un breve tragitto, si aprono per noi i cancelli del Kruger National Park, la più grande riserva naturale del Paese. Il parco copre una lunga striscia di terra del Sudafrica nord-orientale, al confine con il Mozambico, a cinque ore circa dall’aeroporto di Johannesburg. Una piana di erba imbiondita dal sole, bush e polvere, grande quanto la Lombardia.
Nella nostra tre giorni di safari - in parte accompagnati da un guida locale, in parte self-drive, ossia a bordo della nostra auto a noleggio - viaggeremo nella parte meridionale del Kruger, forse la più visitata e meno selvaggia, ma anche quella a più alta concentrazione di fauna.
Vietato scendere dall’auto (se non nei punti segnalati), disturbare gli animali o dar loro da mangiare, superare i limiti di velocità (variabili da 20 a 50 km/h a seconda della tratta), compiere manovre improvvise e molto rumorose.
Ci si può sgranchire le gambe e rifocillare soltanto nei campi interni al parco (come quelli di Lower Sabie e Skukuza), zone off limits per i grandi felini, dunque sicure per i visitatori.
Accediamo al parco Kruger dal gate meridionale “Crocodile Bridge”.
Il silenzio, stemperato nella luce dell’alba, è surreale. La nostra attenzione, massima. I colori della savana si accendono a poco a poco, sfumando dall’oro al bronzo.
Gli occhi frugano sino all’orizzonte alla ricerca di un movimento. Ma spesso non serve spingersi tanto in là con lo sguardo, quando possiamo ammirare a pochi metri di distanza alcune giraffe mansuete, intente a brucare le cime scarne degli arbusti più alti.
O un gruppo di elefanti che attraversano la strada davanti a noi, con il loro incedere incredibilmente aggraziato ed ovattato, a dispetto della mole.
Ovunque si posi lo sguardo, è una grande emozione.
Una mandria di bufali bruca i cespugli nei campi alla nostra destra. Un maestoso rinoceronte si riposa all’ombra di alcuni massi. Il manto maculato di un leopardo, sul tronco poderoso di un albero, brilla nel fitto intrico di rami.
Intanto, un gruppetto di zebre trotta a bordo strada e una iena, eccezionalmente allo scoperto nelle ore di sole, cammina solitaria nei dintorni di un fiumiciattolo.
Due fiere leonesse fanno slalom tra le auto dei visitatori in strada, sornione.
Ad uno stagno poco lontano si abbeverano piccole antilopi dal manto bruno-rossiccio (i cosiddetti impala). Si guardano intorno inquiete, fiutano il pericolo, d’improvviso scattano, poi ritornano: non lontani stanno in agguato lunghi coccodrilli coriacei. Accanto, grossi ippopotami sono stesi a riva.
Babbuini urlanti si muovono indisturbati a ciglio strada.
Due maschi di impala combattano a colpi di corna, mentre le femmine in gruppo si allontanano con lunghi salti.
Un giovane leone, seminascosto tra l’erba alta e ingiallita dal sole, si gusta pigramente un kudu (alta ed elegantissima antilope) rovesciato a terra, mentre un altro leone, già sazio, riposa nelle vicinanze. In alto, sui rami secchi di un vecchio albero, gli avvoltoi seguono la scena, pronti a fiondarsi su ciò che resterà del kudu.
Pachidermi in fila, sotto la scenografica chioma di una Kigelia africana (il cosiddetto albero delle salsicce), procedono lentamente verso il vicino corso d’acqua.
E poi gli gnu, i facoceri, i tanti e coloratissimi uccelli. È così tanta la bellezza intorno a noi, che siamo fermi ogni pochi metri ad esclamare di sorpresa.
Dulcis in fundo, il tramonto infuocato sulla savana.
Il sole si spegne sulle piantagioni di canna da zucchero poco fuori i cancelli del Crocodile Brige.
È l’Africa, in un fazzoletto di terra.
A cura di Francesca Vinai
Foto Credits: Francesca Vinai