Abbiamo conosciuto il dolore della pandemia, la sofferenza per la lontananza dai propri cari e la perdita di oltre centomila nostri connazionali. Accanto al dramma delle vite distrutte dal virus, c’è stata la disperazione di chi ha visto chiudere la propria attività per lunghi mesi, dovendo rinunciare ad un reddito e vedendo vanificati anni di sacrifici anche economici.
Ce lo siamo detti fin da subito: non appena fosse stato disponibile un rimedio alla pandemia avremmo dovuto coglierlo immediatamente. E la scienza una soluzione l’ha trovata, facendo un lavoro straordinario, in tempi eccezionali.
Bisogna fidarsi della scienza medica, e la storia ci insegna che i vaccini hanno sempre salvato la vita. Permettere al virus di continuare a circolare con le sue varianti significa mettere nuovamente in pericolo la sicurezza della nostra comunità e specialmente di chi è più debole, a cominciare da coloro i quali al vaccino non possono accedere per comprovate condizioni di salute.
La prima chiave di volta per uscire da questa crisi si chiama campagna vaccinale o, per utilizzare un termine ormai divenuto di uso comune, il Green pass. Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti: non c’è altro modo per uscire dalla pandemia se non quella di raggiungere l’immunità di gregge. E dobbiamo ammettere che in questi mesi abbiamo ottenuto ottimi traguardi soprattutto se pensiamo a quanto fosse incartata la gestione dell’emergenza a inizio di quest’anno. Più della metà della popolazione è oggi immunizzata e la percentuale di chi ha ricevuto almeno la prima dose è ancora più alta.
Prevedere l’obbligo della certificazione in alcuni luoghi ha un duplice significato. Da un lato è un modo per incentivare la restante parte della popolazione a vaccinarsi, dall’altro consente di creare dei luoghi dove il rischio contagio è minore. Come ha ricordato anche il presidente Draghi in più occasioni, aver introdotto l’obbligo di green pass in alcune attività al chiuso è l’unico modo per evitare che quelle attività debbano chiudere nuovamente. Con le regole anti contagio che hanno determinato le chiusure, alcune durante quasi un anno, la pandemia ha portato con sé una delle crisi economiche più profonde dal secondo dopoguerra.
Per rispondere a questa recessione, l’Unione europea si è mossa, forse per la prima volta, in modo puntuale ed efficace, prevedendo un fondo di ripresa che non ha precedenti per la portata di questo investimento. E all’Italia spetta tra le quote più importanti: oltre 200 miliardi di euro. Se guardiamo al passato, dobbiamo tornare al piano Marshall per trovare un’altra occasione in cui il nostro Paese ha avuto una tale disponibilità di denaro in così breve tempo. Un’occasione dal profilo davvero eccezionale.
Ecco perché la seconda chiave di volta per uscire dalla crisi si chiama PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza che definisce il “come” queste risorse verranno spese. Come tutte le risorse che abbiamo speso in questi due anni, anche la maggior parte di queste sono prese a prestito dalle prossime generazioni e per questo vanno utilizzate con una forma di attenzione maggiore: non devono servire per una spesa improduttiva, bonus o sussidi, ma devono trasformarsi in debito buono. Vanno investite in infrastrutture e per attuare quelle riforme strutturali che servono a rendere il nostro Paese più competitivo. E le riforme sono uno dei punti cardine del nostro PNRR. Semplificazione della burocrazia, sblocco delle opere pubbliche, riforma della giustizia, riforma fiscale, Family Act.
Solo così potremo valorizzare il nostro Made in Italy, il patrimonio culturale artistico unico al mondo, sostenere la genitorialità contrastando la denatalità e incentivando l’occupazione femminile. Per farlo serve una programmazione seria che abbia visione e metodo, perché 200 miliardi di euro a disposizione del nostro Paese significa che abbiamo 100 milioni di euro al giorno da spendere, e spendere bene, da qui al 2026.
L’agenda politica dei prossimi mesi sarà ricca di appuntamenti e la sfida, lo sappiamo, è impegnativa, ma siamo sulla strada giusta. Anche grazie all’autorevole guida del presidente Draghi che ha permesso al Paese di cambiare il ritmo di marcia, di guardare oltre l’emergenza per tracciare le linee di fondo per lo sviluppo economico e sociale del prossimo decennio.
A cura dell’On. Ettore Rosato.