Come quelle di Montecatini Val di Cecina, paese di quasi duemila anime che si erge a guardiano di dolci colline coltivate ad orzo e grano.
Un tempo il borgo vantava una florida economia, dovuta all’attività estrattiva del rame, praticata sin dal tempo degli Etruschi e cessata all’inizio del secolo scorso. Fu nell’Ottocento che la miniera - nella zona di Caporciano, poco fuori le mura del centro - diventò fra le più grandi d’Europa.
Per accedere al cuore più antico di Montecatini, ci si inerpica su per la via lastricata dalla centrale piazza della Repubblica. D’improvviso si è in un altro mondo, tanto attraente quanto inquietante, come ogni borgo medievale che si rispetti. I colori pastello della piazzetta lasciano il posto al grigio tortora della selagite, la scura roccia magmatica della pavimentazione e delle costruzioni originali del centro storico, risalenti all’XI secolo.
Ci si immerge in un dedalo di stradine ombrose da cui trasuda il profumo di storia. È un susseguirsi di portoncini bassi, archi, scalini e balconi fioriti anche d’inverno. Meraviglioso lo scorcio monocromatico incorniciato da Vicolo del Fornaccio. Oltrepassando la piazza su cui si affaccia il palazzo pretorio del XII secolo, si raggiunge con un’ultima salita l’inespugnabile torre dei Belforti che domina, sornione, l’intera vallata e la coltre dei tetti cittadini, screziata di argento e piombo.
Da Montecatini Val di Cecina, imboccando in direzione Siena la SR68 - che da Cecina, sul Tirreno, conduce sino a Colle Val d’Elsa, a nord di Siena - si raggiunge in breve Volterra, celebre per l’artigianato artistico legato alla lavorazione dell’alabastro.
La città, cinta da possenti mura etrusche, è un saliscendi di vicoli e scorci di rara bellezza, fra localini tradizionali e botteghe di alabastro. La matassa del centro cittadino si dipana tutt’intorno a piazza dei Priori, tra le più suggestive piazze medievali d’Italia, abbracciata dai profili merlati e dalle bifore ogivali dei palazzi in pietra chiara. Il più antico è il palazzo dei Priori, oggi sede del Municipio, dall’elegante facciata ornata di stemmi nobiliari su terrecotte smaltate.
Il tessuto urbano è fitto di “case-torri” medievali, edifici alti e stretti, costruiti a scopo difensivo e poi convertiti ad uso abitativo. Il risultato è un’ambientazione unica, autentica e dal fascino misterioso, complici i portoni massicci, le inferriate che oscurano molte finestre, i lampioni in ferro goticheggianti e il Museo della tortura.
Volterra, però, prima che un libero comune in età medievale, fu una delle principali città-stato etrusche, Velathri. Di quell’epoca restano importanti testimonianze, quali la ben conservata Porta all’Arco e i ruderi dell’acropoli, oggi ospitata nel parco verde in cima al colle su cui è abbarbicata Volterra.
Immerso in una tranquillità lontana dalla frenesia del formicaio cittadino, il parco si raggiunge direttamente dal centro storico, salendo da Via di Castello. Al suo limitare si erge, fiera e imponente, la trecentesca Fortezza Medicea, che rende il profilo della città ben riconoscibile anche a chilometri di distanza.
Riconoscibile quasi quanto lo skyline di San Gimignano, definita la “Manhattan dell’Alto medioevo”. Il suo borgo fortificato, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità, svetta su una collina della Val d’Elsa con le sue celebri torri e case-torri duecentesche, squadrate e austere.
Ci fu un tempo in cui se ne contavano settantadue - una per ogni famiglia benestante - simbolo delle lotte intestine fra guelfi e ghibellini.
Oggi ne restano poco più di una decina, fra i vicoli che tessono la ragnatela del centro storico e le due piazze principali, comunicanti l’una con l’altra.
Piazza Duomo, centro religioso e politico del comune medievale, ospita il Duomo romanico, la cui facciata, severa ed essenziale nelle linee, si distingue per sobrietà dagli altri edifici che cingono la piazza, tra cui il palazzo del Podestà e il palazzo comunale, la cui “Torre grossa” - con i suoi 54 metri - è la più alta della città.
Pittoresca la vicina piazza della Cisterna, un triangolo che si sviluppa intorno al pozzo ottagonale per l’approvvigionamento idrico, cui deve il nome. Ad incorniciare questo spazio urbano, sempre affollato, palazzi nobiliari del XIII e XIV secolo che creano un’armoniosa alternanza di sfumature rosa e ocra sulla pavimentazione rosso mattone.
Tra i palazzi si intrecciano vie, cortili, scalinate e scorci rari. Come il rosso intenso dei melograni maturi sullo sfondo argentato di un maestoso ulivo nei pressi della casa natia di Santa Fina, patrona della città. O come i “chiassi del malvicino”, intercapedini di una decina di centimetri - visibili ancora oggi, seppur murate per ragioni igieniche - che per legge dovevano dividere i palazzi vicini di Guelfi e Ghibellini, per evitare che i nemici origliassero attraverso i muri.
Proseguendo da San Gimignano sino a Colle Val d’Elsa e procedendo da qui in direzione sud-est, si raggiunge e supera Siena, fitto intrico di edifici a mattoni policromi, nei toni che vanno dal rosso sbiadito al bruno, su cui svettano la torre del Mangia e il campanile della cattedrale.
Una manciata di chilometri e la strada si fa più stretta e accidentata sui tappeti di morbide colline fra Asciano e Monteroni d’Arbia. È qui che crescono e franano piccole collinette brune di consistenza argillosa, le crete senesi, intorno alle quali le vie tortuose offrono un panorama unico, particolarmente solenne d’inverno.
È una campagna assopita, desolata e fiera, che si propaga in onde brulle ben oltre il velo di foschia all’orizzonte. Qua e là un laghetto, file ordinate di alti cipressi e piccoli grappoli di casolari in pietra color del grano maturo.
È una terra di contemplazione. Arcigna con le sue tortuose vie, generosa di silenzi e accogliente di pensieri. Un eremo sconfinato.
A cura di Francesca Vinai