Il nome “giganti” nasce dal fatto che i partecipanti salgono le cime tra le più alte della montagna, dunque una corsa da giganti anche per i partecipanti. È sufficiente immaginare di andare a piedi da Torino a Reggio Emilia per rendersi conto di quanta strada deve percorrere chi compie questa impresa, con la variante che per arrivare al traguardo è necessario salire dislivelli per complessivi 24 chilometri. |
Franco Colle ha vinto l’edizione 2014 del Tor des Géants, coprendo l’intero percorso in 71 ore 49 minuti, Emilie Lecomte è invece la regina del Tor 2014 dopo una gara lunga 85 ore e 53 minuti. È straordinaria l’impresa di Franco, di Emilie e di tutti quegli atleti che hanno percorso circa 350 chilometri in cinque giorni. Gente di etnie e culture diverse accumunate dalla passione per la montagna. Basta trattenersi qualche ora sulla linea del traguardo per rendersi conto della portata internazionale di questo straordinario evento. Nelle prime dieci posizioni hanno tagliato il traguardo un americano, un giapponese, un irlandese, alcuni italiani. Il Tor des Géants è una gara straordinaria anche se chi lo vede dall’esterno fa fatica a concepire il Tor come una gara. Eppure ci sono i pettorali, c’è la classifica, ci sono i controlli orari, ogni concorrente è in sfida con il cronometro, non con gli altri concorrenti. Anzi, con gli altri partecipanti si condivide una solidarietà di gruppo, una sorta di empatia della fatica che rende fratelli tutti i partecipanti. I concorrenti più di ogni altra cosa devono avere l’anima leggera piuttosto che lo zaino da top runner; la sera prima della partenza, ogni atleta riempie e svuota la borsa gialla nel tentativo di infilarci tutto il necessario, ma lo spazio è limitato e deve decidere cosa lasciare a casa e cosa portare con se. Un rituale che ripete più volte nel tentativo di concentrarsi sulla gara che sta per affrontare.
Il Tor obbliga a scegliere tra cosa è indispensabile e cosa no, ed è una lezione importante da imparare, troppo peso dietro ti rallenta, poche cose potrebbero compromettere il risultato della gara. Al Tor prima di tutto si deve imparare a sacrificare la comodità a favore dell’efficienza, si deve imparare a rinunciare a tutto quello che non è indispensabile e questione importante e per nulla scontata, si deve imparare a distinguere tra ciò che è necessario e cosa no.
Questo minimalismo viene elevato a regola di vita durante il Tor e anche le persone che sono sul percorso, che siano incontri casuali o amici venuti a sostenere i partecipanti, percepiscono le cose di cui si ha davvero bisogno in quel momento. Lungo il percorso, chi offre un frutto fresco, chi un abbraccio, qualcuno una maglietta extra, altri una parola di sostegno o solo l’occasione per distendersi su un prato e chiudere gli occhi per qualche minuto. Un discorso che assume importanza ben più grande quando si parla di emozioni.
Dal punto di vista emotivo, il Tor è il crogiolo dell’anima, i partecipanti devono lasciarsi alle spalle tutto quello che non è fondamentale.
La presunzione di un risultato, l’orgoglio dell’esperienza, la vanità dell’apparire, mentre davanti a se rimane il sentiero, che fin dalla prima salita, ti insegna che non devi portare pesi extra, siano essi fisici o metafisici. Chi non ha l’umiltà di accettare con riconoscenza ogni chilometro che si trova davanti, ogni salto di roccia, ogni torrente da guadare, non ha speranze di arrivare indenne alla fine.
Lungo il percorso si incontra tanta gente, quella che ti guarda passare dalla finestra di casa, che ti batte le mani dal terrazzino, che sorride e saluta, gente che vive 365 giorni all’anno in quella valle, probabilmente non capisce l’ansia di chi vuole raggiungere il traguardo, ma sa riconoscere il passo di chi ama la montagna ed è abituato ad essa. Sa riconoscere il volto tirato di chi dorme poco, mangia poco e continua ad andare. Fuori dai rifugi, si trova sempre qualcuno seduto a uno dei tavoli esterni mentre si intrattiene con chi corre svelto, uno che dà il benvenuto a quelli che corrono il Tor des Géants, batte le mani e dice ‘Forza!’ ed era quasi sempre il primo a farlo. Il primo ad accorgersi del passaggio dei corridori, stravolti. Un ‘Forza!’ che detto in certi momenti, fa bene allo spirito e ti incoraggia davvero.
Lo spirito di questa eccezionale esperienza è ben incarnato da chi la vive come una sfida rivolta a se stesso prima ancora che verso altri. Per meglio capire lo spirito che anima i partecipanti, abbiamo intervistato un concorrente illustre, il Presidente dalla Regione Valle d’Aosta, Dott. Augusto Rollandin. Le motivazioni che hanno spinto, sia il Presidente che tanti altri concorrenti a prendere parte a questo straordinario evento, nascono dalla passione per le montagne della Valle d’Aosta, dalla ricerca di emozioni che possono dare gli scorci di panorami di natura che si presentano agli occhi dei partecipanti. Un insieme di cambiamenti di paesaggi e di luci, di incontri lungo il percorso, un momento di confronto con altri concorrenti o con gli spettatori che incitano il passaggio lungo i sentieri, un’esperienza entusiasmante ed allo stesso tempo un opportunità da sfruttare per valorizzare il sistema Valle d’Aosta.
La partecipazione del Presidente ha voluto essere senza dubbio un valore aggiunto, un importante segnale di quanto le istituzioni credano a questo tipo di iniziative e quanto siano vicine ai competitor che da tutto il mondo si avvicinano alle vette della Valle, un invito a visitare le montagne più belle, conoscendole da vicino.