Vi proponiamo quindi il commento della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro alla circolare in questione. I criteri di calcolo per la determinazione dell’importo del ticket di licenziamento è “pari al 41 per cento del massimale mensile di ASpI (oggi NASpI) per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni” (art. 2, comma 31, legge 92/2012). Il contributo è pertanto strettamente correlato all’anzianità aziendale del lavoratore cessato, ma scollegato dall’importo della prestazione individuale e, conseguentemente, lo stesso è dovuto in misura identica a prescindere dalla tipologia di lavoro, che esso sia part-time o full-time.
Prima dell’emissione della circolare Inps n. 137/2021, il calcolo del ticket licenziamento aveva come riferimento due documenti di prassi dell’Istituto: il primo, in ordine di tempo, riporta che “riguardo al contributo sulle interruzioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, si fa presente che la somma limite di cui all’articolo 4, c. 2 del D.lgs. 22/2015 è stabilita in €1.195,00.
Conseguentemente, per le interruzioni realizzatesi da “maggio 2015”, la soglia annuale del contributo di cui all’art. 2, c. 31 della legge 92/2012 corrisponde a € 489,95 e l’importo massimo, riferito ai rapporti di lavoro della durata pari o superiore a 36 mesi, è di € 1.469,85” (messaggio n. 4441 del 30 giugno 2015, in materia di NASpI, profili contributivi).
Il secondo messaggio, invece, riguarda la decorrenza e la misura del contributo: “per i licenziamenti effettuati a far tempo dal 1° gennaio 2018 nell’ ambito di una procedura di licenziamento collettivo, i datori di lavoro sopra indicati sono tenuti a versare il contributo ex articolo 2, comma 31, della legge n. 92/2012 che, per effetto della novella legislativa, è costituito da una somma pari all’82 per cento del massimale mensile NASpI per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni.
Tenuto conto che, per l’anno 2018, il massimale mensile NASpI è di € 1.208,15, per ogni dodici mesi di anzianità aziendale, la contribuzione da versare è pari a € 990,68 (€ 1208,15 x 82%). Per i lavoratori con anzianità pari o superiore a 36 mesi il contributo è pari a € 2.972,04 (990,68 x 3)” (messaggio n. 594 dell’8 febbraio 2018). Sulla base di tali indicazioni, banche dati, software house, libri e pubblicazioni specialistiche, hanno determinato il contributo di licenziamento. Successivamente, con la circolare nr. 40 del 19 marzo 2020 l’Inps modifica quanto riportato nei messaggi appena citati, facendo sì che il ticket licenziamento del 2020 e 2021 ammonti a € 1.335,40 x 41% = € 547,51 annuali, pari a € 1.642,53 per il triennio di anzianità. Ne risulta un incremento di ben 132,66 euro per ciascun ticket con anzianità di almeno tre anni e fino a 795,96 euro nei casi di licenziamento collettivo da parte di aziende che rientrano nell’ambito di applicazione della CIGS, in mancanza di accordo.
Da recenti controlli sulle banche dati dell’Istituto è emerso quanto riportato nella circolare 137/2021, ovvero che la modalità di calcolo del ticket di licenziamento, nel corso non è sempre avvenuta in modo conforme, non essendo stata correttamente valorizzata la base di calcolo del contributo, pari all’importo del massimale annuo AspI/NASpI. Pertanto, la circolare mira a stabilire un’interpretazione univoca, anche sulla base di recenti interlocuzioni con il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro. Dal quadro delineato, quindi, si rileva l’evidente correlazione tra versamenti in minor misura da parte delle aziende a partire dall’anno 2015 e le indicazioni dei messaggi Inps n.4441/2015 e n. 594/2018, quantomeno sino a febbraio 2020.
Solo con la circolare 40 del 19 marzo 2020, infatti, l’Inps ha correttamente fatto riferimento al massimale anziché alla retribuzione imponibile. In ragione di ciò i paventati recuperi dovrebbero tenere conto, oltre che dei termini prescrizionali, anche della distorsione interpretativa indotta dal medesimo istituto.
Nei termini citati, è ragionevole ritenere (oltre che auspicabile) che tali conguagli vengano richiesti senza l’applicazione né di interessi né di sanzioni civili e attraverso modalità operative che non impongano ulteriori adempimenti. La questione attiene a una doverosa presa d’atto da parte dell’Inps anche in considerazione del fatto che, in particolare nei casi di licenziamento collettivo, tali differenze di importi potrebbero assumere valori rilevanti di cui le aziende certamente chiederanno conto.