È stato ufficialmente avviato il cantiere per l’edificazione della The Line City o Neom, un nuovo progetto di scala urbana che prevede la realizzazione di un nuovo modello del vivere in una città di nuova fondazione in Arabia Saudita, più precisamente nella Provincia di Tabuk. A cura di Clara Civallero |
Le principali linee guida del progetto prevedono una città, pianificata per circa nove milioni di abitanti, sviluppata secondo una pianta lineare lunga ben 170 chilometri e larga 200 metri, progettata per ridurre totalmente le emissioni di carbonio grazie alla totale esclusione di automobili e strade. Si dovrebbe estendere dal mar Rosso fino alla città di Tabuk, e la densità di popolazione stimata potrebbe essere di 260.000 /kmq. La città sarà composta da due edifici speculari e rettilinei aventi nel territorio residuale centrale uno spazio aperto, verde e pubblico per i cittadini. Le facciate esterne dei due edifici inoltre saranno specchiate per garantire un impatto visivo minimo di questa nuova grande costruzione che dominerà il territorio.
Ciò che rende questo progetto estremamente utopistico è la previsione che tutte le attività svolte all’interno di questa città saranno alimentate attraverso energia rinnovabile e sarà inoltre costituita da tre livelli: uno in superficie dedicato solamente ai pedoni e altri due, entrambi sotterranei su due strati differenti, destinati alle infrastrutture e al trasporto ad alta velocità che garantirà la possibilità di spostarsi da un’estremità all’altra della città in appena 20 minuti, toccando la velocità di 512 km/h, maggiore di qualsiasi mezzo di trasporto ad alta velocità esistente ad oggi al mondo. Secondo le previsioni di progetto, inoltre, il ruolo assegnato ai sistemi informatici per il controllo di The Line City assumerà un valore fondamentale; infatti l’intelligenza artificiale dovrà monitorare la città ed utilizzare modelli e dati raccolti per aumentare la qualità della vita per gli utilizzatori e i residenti.
Chiaramente, l’idea che in pochi anni un progetto del genere possa essere completato e operativo è alquanto utopistico, e non manca in merito uno scetticismo che porta a immaginare che questo possa essere uno dei tanti progetti vetrina per promuovere uno stile di vita più futuristico, improntato all’eco-sostenibilità, e all’azzeramento dell’impronta di carbonio negli spazi urbani. Hélène Chartier, la Direttrice del dipartimento di Urban Planning and Design del C40 Cities, un gruppo di 97 città in tutto il mondo che si concentra sulla lotta al cambiamento climatico, ha dichiarato che questo progetto rischia di rientrare tra una serie di pianificazioni di città lineari mai realizzate, come per esempio il progetto di A. Soria y Mata risalente al 1882, o quello di M. Graves e P. Eisenman in New Jersey (Stati Uniti). Lo scetticismo tuttavia non si riduce all’opinione espressa da H. Chartier, ma sono diverse le posizioni critiche manifestate di fronte a questo progetto di vastissima scala. Sono state avanzate anche delle critiche in merito all’effettivo impatto ambientale che questa nuova grande opera di edificazione comporterebbe.
Per quanto l’obiettivo del progetto sia di creare una metropoli ad emissioni zero, il processo di costruzione ed i materiali impiegati, tra cui vetro, acciaio, e cemento, avranno un’impronta di carbonio pari a 1,8 gigatonnellate di CO2. È infatti impossibile, secondo diversi studiosi interessati al caso, costruire un edificio di questa portata con materiali a bassa emissione di carbonio. Per non parlare dell’impatto sull’ecosistema che una architettura di questo tipo avrebbe. Come è stato accennato prima infatti la lunghezza totale dell’edificio si estenderà per ben 170 chilometri, rappresentando quindi a livello ambientale una barriera a dir poco insormontabile. Ci sono infatti diverse specie animali che potrebbero essere messe a rischio, sia quelle migratorie che si ritroverebbero il percorso bloccato, un impatto simile a quello generato dalle grandi infrastrutture della mobilità, ma anche i volatili, a causa delle due facciate a specchio. Se queste ultime infatti sono state pensate per ridurre l’impatto visivo dell’opera urbana sul paesaggio naturale che circonda l’area di progetto, il rischio comunque che non siano riconosciute da alcune delle specie autoctone potrebbe metterne in pericolo la circolazione. Un’altra questione aperta del progetto, che ha provocato numerose proteste ed opposizioni, è anche la necessità dello sgombero obbligato di diverse popolazioni indigene risiedenti in quella fascia di territorio. Il tentativo di pensare ad un modo totalmente nuovo del costruire e del vivere in questo caso è evidente, ed è anzi il principale motore che ha dato il via all’idea progettuale.
È tuttavia complesso immaginare che il risultato finale, se mai le opere verranno effettivamente concluse senza intoppi di alcun genere, sarà in linea con i principi iniziali. Sicuramente è importante prendere consapevolezza che, come le previsioni suggeriscono, la popolazione urbana continuerà ad essere in crescita, sarà allora necessario ripensare il modo di vivere e costruire le nostre città: tuttavia la strategia vincente potrebbe essere investire su quello che già si ha e intervenire responsabilmente sull’ambiente urbano che ci ha ospitato nei decenni passati.