Metodologie di produzione che esistono da tempo, ma solo negli ultimi dieci anni sono entrati un po’ a gamba tesa nella mentalità comune. Per alcuni moda, per altri una vera e propria filosofia di vita e modus operandi.
La confusione è molta e l’intento qui non è quello di spiegare nel dettaglio le tre tipologie, ma è quello di dare una sorta di input generale così da creare un po’ di curiosità che spinga il consumatore medio a provare questi prodotti con coscienza di causa, ma soprattutto senza pregiudizi.
Quali sono dunque le differenze tra vini biologici, vini biodinamici e vini naturali?
La produzione e il commercio del vino biologico esistono da almeno 20 anni, quello che è sempre mancato però era un regolamento unico che dettasse norme alle quali riferirsi, norme arrivate solamente nel marzo del 2012 con il regolamento europeo 203/2012. Queste riguardano a 360° tutto il processo produttivo, dalla coltivazione dell’uva alla vinificazione e all’imbottigliamento.
L’agricoltura biologica si è saputa tutelare con la nascita di decine di organismi di controllo ed enti certificatori che effettuano controlli scrupolosi sulle aziende che richiedono di essere certificate. Nella fattispecie un vino può definirsi biologico quando:
• viene prodotto a partire da uve biologiche, ovvero coltivate senza l’aiuto di sostanze chimiche di sintesi (concimi, diserbanti, pesticidi,…) o utilizzando OGM;
• viene vinificato utilizzando solo i prodotti enologici e i processi autorizzati dal già menzionato regolamento 203/2012 di cui sopra.
All’atto pratico il produttore, per avere la certificazione, può utilizzare circa la metà del numero di coadiuvanti (prodotti necessari per la vinificazione) rispetto ad un produttore convenzionale. Il quantitativo di solforosa totale nei vini biologici è stato limitato per i vini rossi secchi a un massimo di 100 mg/l (nei rossi tradizionali è 150mg/l), mentre per i bianchi secchi potrà essere al massimo di 150 mg/l (nei bianchi tradizionali è 200 mg/l).
Se l’azienda rispecchia questi canoni otterrà una certificazione di conformità da parte di un ente certificatore riconosciuto. Questi limiti possono sembrare molto severi e da un certo punto di vista in effetti lo sono, ma per fortuna queste normative riguardano solo gli aspetti qui sopra citati, di conseguenza ogni produttore biologico certificato può comunque seguire il proprio stile di produzione prediligendo, ad esempio, un affinamento piuttosto che un altro.
Per rendere riconoscibile un vino biologico anche dalla bottiglia è stato creato un un logo europeo da apporre in etichetta per le aziende certificate da un ente autorizzato.
Con l’espressione “vino biodinamico” si intende il vino ottenuto da uve da agricoltura biodinamica. Il metodo biodinamico è stato formulato intorno al 1920 dall’austriaco Rudolf Steiner, fondatore dell’antroposofia, la medicina alternativa che studia le leggi che stanno alla base delle manifestazioni della vita, dell’anima e dello spirito nell’uomo e nella natura.
C’è chi dice che questa sia soltanto una moda e chi invece vede nel biodinamico una garanzia di qualità, delle materie prime e delle tecniche, in equilibrio reciproco e con la natura.
Per il vino biodinamico la situazione è molto differente rispetto al biologico: innanzitutto la certificazione non viene rilasciata da enti certificatori autorizzati, bensì da un’associazione privata di produttori biodinamici che certifica il proprio marchio secondo uno specifico disciplinare: l’Associazione Demeter.
I tre principi della biodinamica sono:
• mantenere la fertilità della terra, liberando in essa materie nutritive;
• rendere sane le piante in modo che possano resistere alle malattie e ai parassiti;
• produrre alimenti di qualità più alta possibile.
A tal fine vengono utilizzati dei preparati particolari, composti da materie naturali, per la cura della terra al fine di favorire la corretta crescita delle piante, preservandone le caratteristiche.
La filosofia che sta alla base della biodinamica è la ferma convinzione che, osservando le influenze astrologiche sulle piante e sul terreno, è possibile ricreare tra di essi la giusta dialettica e interconnessione e far sì che i processi biologici di germogliazione, crescita e maturazione siano in stretta connessione con la natura.
Invece che combattere le malattie delle piante e delle viti, si cerca di innescare la giusta reazione che possa in qualche modo creare un equilibrio tra gli elementi, ribaltando la logica dell’agricoltura industriale moderna che utilizza in larga prodotti chimici.
L’obiettivo sostanziale di questa idea dunque è quello creare un ecosistema che in qualche modo sia autosufficiente e che non necessiti di interventi esterni; ogni elemento presente nel ciclo è presente per un motivo ed entra in collegamento con l’ambiente circostante a un punto tale da non essere necessario l’aggiunta di coadiuvanti per rinvigorirle.
Assaggiare quindi un vino biodinamico sotto un certo punto di vista vuol dire assaggiare quello che è il vero frutto della terra, del clima e delle stagioni.
Anche in questo caso non esiste vera regolamentazione come per il biologico, ma come nel biodinamico esistono associazioni di produttori che elaborano metodologie di produzione, tra tutte la più conosciuta è VinNatur.
Il concetto di vino naturale nasce da una viticultura che evita sostanze di sintesi (pesticidi, diserbanti, concimi), tratta le vigne solo con rame e zolfo (cioè prodotti naturali).
Le rese, in questo caso, sono generalmente molto basse per scelta, difatti l’uva viene raccolta solo ed esclusivamente nel momento della maturazione ottimale, questo per puntare di più sulla qualità piuttosto che sulla quantità. Per valorizzare al massimo il territorio i produttori preferiscono produrre vini da vitigni autoctoni.
In vigna dunque non vengono utilizzati additivi chimici; il lavoro procede poi in cantina, dove la fermentazione è esclusivamente spontanea, con uso di lieviti indigeni, la solforosa aggiunta è minima o assente. Anche in questo caso si tratta di una filosofia di vita e non solo un modo di lavorare. Metodologie differenti, una più esoterica, l’altra più scientifica, ma in fondo tutte e tre hanno uno obiettivo in comune davvero molto importante: la sostenibilità.
A cura di Mattia Perredda.