“Il primo problema di cui le aziende dovrebbero tenere conto, dal punto di vista delle relazioni interne, è quello del cosiddetto scollamento: la pandemia, il lockdown, l’obbligo di smart working senza adeguata preparazione da parte tanto dei dipendenti quanto dei manager hanno creato un terreno fertile dove l’individualismo e l’allontanamento dai valori aziendali e dal senso di appartenenza possono germogliare molto facilmente. E al momento del rientro, per tante realtà, questo sarà un problema che assumerà dimensioni crescenti”.
Non ha dubbi Anna Piacentini, CEO di People3.0, società di consulenza specializzata nel benessere aziendale e nell’ambito della felicità sul posto di lavoro: “Se non si interviene per invertire questa tendenza, al rientro la lezione che le persone avranno imparato sarà che, di fronte a problemi che investono la persona a 360°, ognuno può contare solo su sé stesso e questo finirà con l’impattare non solo sul senso di appartenenza ma anche sul rendimento, sulla disponibilità a quegli sforzi che molti economisti stanno già immaginando come inevitabili, al momento della ripartenza”.
Quello che è andato compromettendosi, nel corso di due mesi di allontanamento forzato dal posto di lavoro e di relazione con manager e leader, è il rapporto di fiducia: “Da questa situazione occorre trarre una lezione e un’opportunità” procede Anna “fino al giorno prima della crisi, la maggioranza dei manager indossava la maschera del superuomo inossidabile e privo di debolezze. Oggi quel modello non funziona più e chi ha il coraggio di mostrare le proprie fragilità è come se avesse una marcia in più: dimostra che per quante competenze si possano avere, non si possiedono tutte le risposte e si invita i propri collaboratori a cercarle insieme, senza aspettare una soluzione calata dall’alto e accettata passivamente”. L’opportunità che si presenta quindi ai manager è quella di favorire la crescita umana e professionale dei membri dei propri team: fare un passo indietro per farne due avanti, trasformando un potenziale disastro in un, citando una famosa battuta, passo di cha cha cha.
“La sfida dei prossimi mesi per le organizzazioni”, commenta Davide Cortesi, esperto di Empowerment individuale e organizzativo, executive & performance coach “sarà quindi quella di aiutare i leader a gestire le persone in una situazione nuova, ricca di incertezze e di paure. Chi si occupa di risorse umane o di strategia aziendale dovrà aiutare i propri leader o manager ad aiutare i collaboratori, in una catena virtuosa che dia vita a un nuovo mindset e a nuove dinamiche di relazione”.
Non più un leader che impone ordini e soluzioni quindi ma una figura di riferimento che comprende le difficoltà, le condivide ed è pronto ad aiutare i membri del proprio team a gestire l’incertezza degli scenari, mercati e dinamiche organizzative che ora nessuno conosce realmente.
“Un segnale importante di quanto tutto sia cambiato, rispetto a due soli mesi fa”, incalza Emmanuele Del Piano, esperto di talent development, performance e facilitatore dei processi di cambiamento “è la vera e propria scomparsa dai canali social dei cosiddetti ‘guru’ pronti a dispensare soluzioni facili per ogni problema. E proprio quando, con un pizzico di ironia, ci sarebbe stato più bisogno delle loro formule magiche. La verità è che la situazione attuale lascia spazio a una grande opportunità di cambiamento: non possiamo fare più le cose come le facevamo prima ma possiamo farle in modo nuovo, dando spazio al team per auto-organizzarsi, stimolando gli aspetti operativi e la capacità di creare valore. E quando riusciremo a uscire da questa situazione difficile potremo contare su collaboratori più coinvolti, attivi e propositivi. E anche se ci trovassimo di fronte a qualcosa da correggere, nell’attuale situazione di caos, potremmo farlo. Tutti insieme”.
Per aiutare le aziende ad affrontare questo momento di cambiamento epocale (e non solo) People3.0 ha dato vita a un modello operativo innovativo: “Lavoriamo in primis sui talenti individuali” prosegue Anna “attraverso un assesment che ci permette di creare una vera e propria mappa dei talenti di ogni membro del team, individuandone i punti di forza e le criticità e fornendo ai manager gli strumenti per valorizzare al meglio ogni singola risorsa. Si tratta di un modello che proponevamo già prima dello scoppio della crisi”.
“Lo strumento di base si chiama Diamond Approach” spiega Davide “e permette di mappare il tratto prevalente, in gergo il ‘tipo’, della persona con cui interagiamo. Nasce come strumento di autoriconoscimento, per lavorare su noi stessi: quando ho capito chi sono e come funziono, posso utilizzarlo anche per migliorare la qualità dell’interazione, dell’engagement, del rapporto con l’altro. Il Diamond Approach definisce 6 tipi prevalenti, inquadrando i punti di forza e i cosiddetti ‘deragliatori’, i comportamenti automatici limitanti che ognuno attiva in condizioni di stress e tensione. Grazie a questo modello ogni manager o leader può identificare e sviluppare al meglio la propria modalità di leadership. Lo step successivo è quello di utilizzarlo per comprendere al meglio anche i propri collaboratori, individuandone le criticità e i punti di forza: una consapevolezza che può trasformare il manager in un gestore di persone capace di farle crescere in base ai singoli potenziali”.
Come mettere a frutto uno strumento tanto potente in un momento di crisi come quello attuale? “Occorre, in primis, cambiare il focus della nostra attenzione” spiega Emmanuele.
“Non possiamo controllare quello che accade fuori di noi ma possiamo lavorare su ciò che accade dentro di noi, sostituendo ansia e imprevedibilità esterne con controllo e gestione al nostro interno, focalizzandoci sull’obiettivo da raggiungere. Ma per fare questo è necessario che cambi radicalmente il modo in cui tali obiettivi diventano miei: se sono calati dall’alto, insieme a procedure rigide e dettagliate, finirò con il sentirmi un ingranaggio inutile in una macchina complessa e spersonalizzante o, peggio ancora, con lo sviluppare un profondo risentimento verso obiettivi e metodi.
Viceversa, se mi trovo a contatto con un leader che, nell’ambito della relazione sopra descritta, definisce i macro obiettivi ma mi stimola a trovare percorsi per raggiungerli io sarò spronato a dare il massimo, mettendo a frutto i miei punti di forza. In questo contesto il leader è fondamentale: aumenta il controllo sui propri collaboratori ma lo utilizza come strumento per guidarli, non come indicatore di sfiducia. E così, in questo momento di caos dove spesso la sensazione di molti manager è quella di ‘perdere il controllo’ sul proprio team, il risultato sarà quello di averne di più. Ma in una forma nuova, più efficace e che, nel lungo periodo, porterà alla crescita dei singoli membri del team e del gruppo nel suo complesso”.
Fiducia profonda, coerenza, consapevolezza e presenza quindi: “È questa la ‘palestra’ che permetterà alle aziende di rientrare in pista dopo questa crisi molto più forti e performanti di prima”, conclude Anna.
A cura di Alessandro Pantani.