La proliferazione poi di diverse criptovalute ha generato anche il fenomeno della DeFi, e cioè la nascita di piattaforme di scambio (e altro come lo staking o il farming) anch’esse distribuite tra un insieme indefinito di nodi. Se la recente vicenda FTX ha insegnato qualcosa, si dovrebbe capire che anche gli intermediari (anche quelli vigilati com’era la società di SBF e Alameda Research), non sono la soluzione a tutti i mali, anzi, e che dunque non necessariamente tutto dev’essere intermediato o intermediabile, perché i fallimenti di questi anni sono stati di società tradizionali e non del network della blockchain.
Il Parlamento dunque aveva lavorato per affrontare queste complessità anche con incontri specifici con soggetti italiani e stranieri, ma dall’articolato della legge di bilancio sembra che non si tenga conto di alcuni aspetti basilari ma che sia più che altro una proposta che ha come obiettivo quello di generare gettito fiscale e di togliere l’imbarazzo dell’Agenzia delle Entrate dalla precedente interpretazione che aveva dato nel lontano 2016, assimilando le cripto a valute estere. In questi mesi invece, da più parti in Europa è arrivata l’interpretazione ad attività (asset) e dunque, non potendo l’Agenzia smentire sé stessa a normativa invariata, l’unico modo per uscire da questa situazione è una norma di legge in cui il termine “cripto-attività” si conta ben 40 volte come a fugare ogni dubbio e che non si parli più di valute.
Senza dubbio alcuni aspetti del testo portano positiva chiarezza: ad esempio l’irrilevanza del cripto-to-cripto o il fatto che gli intermediari possano fare da sostituto d’imposta semplificando alcuni ruoli e aprendo così anche alle grosse banche che vogliono dare un servizio più completo in un contesto più chiaro. Ma una cosa come l’imposta di bollo sui wallet risulta poco sensata, perché va capito se si paga lo 0,2 per mille del prezzo di costo o del prezzo di mercato. Se fosse al prezzo di costo risulterebbe complicato per le cripto ottenute dal mining negli scorsi anni, mentre se fosse del prezzo di mercato, a questo punto, chi lo fa il prezzo, dato che non ci sono mercati regolamentati?
Inoltre risulta difficile definire un mercato che conta migliaia di criptovalute (tante sono quelle nate e chissà quante ancora ne arriveranno). Al di là di queste considerazioni, negli articoli della manovra sono diversi i punti su cui intervenire, anche solo per fare come altri Stati, come la Germania, ad esempio, che non impone alcuna tassa sulle plusvalenze se si dimostra la detenzione per più di un anno (dunque non a fini speculativi). Ma il tema delle cripto inoltre potrebbe estendersi anche all’aspetto della dematerializzazione delle quote delle società, che potrebbe risultare molto positivo per promuovere la ricapitalizzazione delle PMI e soprattutto ridurre le spese per le burocrazie notarili.
In definitiva il Governo Meloni anche se frettoloso, ha dimostrato proattività (forse per racimolare un po’ di gettito più che per autentica sensibilità al tema), ma ora dovrà dimostrare umiltà e ascoltare gli operatori seri del nostro Paese, se vuole evitare il rischio della perdita di imprenditori, capitali e cervelli.