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Storico Carnevale di Ivrea

5/3/2015

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La particolarità che contraddistingue il Carnevale di Ivrea dai carnevali di tutto il mondo è la sua origine storica dalla trama ben precisa, narrante una storia i cui protagonisti non sono maschere ma personaggi ideali, simbolo di valori libertari e interpreti di antichi avvenimenti. 
Il processo di storicizzazione del Carnevale di Ivrea (TO) avvenne sotto il governo napoleonico e fu istituzionalizzato nel 1808, collegando il significato della sua celebrazione all'affermazione degli ideali di libertà giunti con la rivoluzione francese, anche se le sue radici risalgono a tempi ben più remoti, riguardanti l'epoca medievale. 
Di qui il primo filone riconducibile ai soprusi subiti dalla cittadina quando Federico Barbarossa insediò a signore della città il tiranno Raineri di Biandrate. Un susseguirsi di violenze portò alla rivolta popolare che nel 1194 distrusse il castello, simbolo dell'oppressione. Sorte che toccò nel 1266 ad un altro despota, il marchese Guglielmo di Monferrato. Nella tradizione Raineri e Guglielmo confluiscono in un'unica figura di tiranno che, secondo l'usanza del tempo, pretendeva di esercitare lo "jus primae noctis", ovvero di passare con tutte le spose la loro prima notte di nozze. 
Qui, cari lettori, subentra la figura di Violetta, la cui storia risulta affascinante e ricca di significato. La bella figlia di un mugnaio diverrà in seguito una delle figure-simbolo della rappresentazione, nonché ruolo molto ambito. Nel ricevere l’onore di poterla rappresentare si entra in un albo d’oro che ha origine nel 1858, anno in cui apparì per la prima volta questa figura: la Mugnaia. 
Si narra che questa giovane, indignata dal destino cui andava incontro, giurò al marito che non avrebbe compiaciuto il feudatario abbassandosi a tale sopruso e, salita al castello la sera delle sue nozze, estrasse dalle vesti un pugnale, gli mozzò la testa e la mostrò al popolo intero dagli spalti del castello. 
Questa leggenda, come tutte, ha un fondo di verità: all'epoca, la Dora Baltea era costellata di numerosi mulini e la rivolta eporediese fu causata dall'ennesima tassa sul macinato: questo fu il segno della ribellione. Il maniero fu incendiato ed il popolo giurò che mai più si sarebbe costruito nulla. Una rivolta che viene oggi ben rappresentata dalla Battaglia delle Arance: un grande gioco delle parti tra gli aranceri a piedi, simbolo del popolo ribelle, e quelli sui carri, rappresentanti le guardie del tiranno. 
Fino al 1600 il carnevale si festeggiava separatamente e conflittualmente nei vari rioni della città, sfociando spesso in scontri. Solo con l’avvento di Napoleone si impose di riunificare i Carnevali rionali in un'unica festa. Per suscitare la simpatia dei cittadini nei confronti del governo fu fatta indossare la divisa dell'esercito napoleonico: nacque così la figura del Generale, circondato da Aiutanti di Campo e Ufficiali di Stato Maggiore. Ma solo nel 1858, sull'onda del rinnovato anelito di libertà risorgimentale, al Generale fu affiancata la figura della Mugnaia. Alla vigilia della seconda guerra di indipendenza infatti l'Italia sarà prossima all’unità ed è per questo motivo che gli organizzatori e il movimento sociale dell’epoca avevano ritenuto opportuno introdurre un elemento femminile che rappresentasse suddetta libertà. Da qui la scelta dell’abbigliamento della Mugnaia, la quale indossa i tre colori della bandiera: la veste bianca, la fascia verde e il berretto rosso. 

Ma com'è veramente il Carnevale di Ivrea? La testimonianza di chi lo vive ogni anno.
Francesca, lancia da dieci anni, è una ragazza che nemmeno abita ad Ivrea ma partecipa per le emozioni che suscita l’atmosfera eporediese dei giorni di Carnevale. Ecco la sua esperienza.
“Ad ogni edizione del Carnevale Storico di Ivrea tiro le arance nella squadra dei Tuchini, del rione del borghetto, ovvero i corvi neri. Notoriamente esistono due tecniche per lanciare: in una si tirano le arance da lontano e ciò rappresenta la scelta più rischiosa, in quanto si è bersaglio sia dei carri avversari sia della tua stessa squadra. La seconda tecnica, la più sicura per la propria incolumità, consiste nell’essere appoggiati al carro e lanciare alla cieca, tenendo il braccio in alto.
A terra, a differenza degli aranceri sui carri, non si ha alcuna protezione ma solo una casacca di riconoscimento. I visitatori invece, se vogliono proteggersi dal lancio delle arance, devono identificarsi mediante un nastro o un cappello rosso. 
Si può tirare in qualsiasi rione, anche fuori dalla propria zona, poiché la battaglia non è tra chi è a terra, ma tra i carri e chi è a piedi, rappresentanti rispettivamente il potere ed il popolo unito in ribellione. A seconda delle zone di lancio il ritmo cambia, se sei sul ponte o nella strettoia subito dopo il Borghetto ad esempio il campo di battaglia è più adrenalinico, ci sono infatti duecentomila persone in uno spazio ristretto senza possibilità di fuga. Se te ne vuoi andare puoi solo aspettare che si muova il carro!
Vi sono diversi modi per stabilire il rione vincente: chi ha dato vita ad una battaglia più dura o chi ha consumato più arance, anche se la vittoria vera è arrivare a casa la sera sfiancati dall’umidità, stremati dal freddo ma appagati dagli applausi dei tanti spettatori che assistono, quasi intimoriti, alle battaglie. Insomma, quattro giorni di spensieratezza e divertimento che valgono più di qualche acciacco”.

A cura di Manuela Oliverio
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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