Diversi studi portano a stimare che dall’inizio degli anni Settanta ad oggi lo spreco alimentare nel mondo sia cresciuto di oltre il 50%, ma soprattutto negli ultimi anni è accresciuta la consapevolezza riguardo a questo fenomeno. Nel gennaio 2013 il rapporto dell’Institution Mechanical Engineers, associazione degli Ingegneri meccanici britannici, valutava che lo spreco di cibo vale nel mondo circa 2.060 miliardi di euro e l’ordine di grandezza è confermato anche da studi successivi.
La metà del cibo prodotto nel mondo, circa due miliardi di tonnellate all’anno, finisce nella spazzatura, benché in gran parte commestibile. Fra la cause dello spreco ci sono cattive abitudini di consumo e d’acquisto da parte dei consumatori, le date di scadenza troppo rigide, promozioni che spingono a comprare più cibo del necessario. Solo i paesi industrializzati buttano 222 milioni di tonnellate all’anno, quantità che sfamerebbe l’Africa Sub Sahariana. In Italia, secondo il Barilla Center for Food and Nutrition, ogni anno finiscono tra i rifiuti dai 10 ai 20 milioni di tonnellate di prodotti alimentari, per un valore di circa 37 miliardi di euro. Un costo di 450 euro all’anno per famiglia. Coldiretti stima che basterebbe a sfamare circa 44 milioni di persone.
Il problema riguarda maggiormente la filiera economica a livello produttivo o direttamente il consumatore? Dove è urgente intervenire?
Il problema riguarda entrambi, filiera produttiva e consumatore. Secondo il rapporto del Politecnico di Milano “Surplus food management” ci sono 5,6 milioni di tonnellate di cibo generate in eccesso, vale a dire 16% dei consumi annui.
All’interno della filiera, il 2,8% si perde nella fase di produzione e lo 0,4% nella trasformazione. Si stima che il 57% dello spreco è dovuto agli attori della filiera, qui dunque è necessario lavorare per contenerlo.
Ma il restante 43% avviene in famiglia: secondo l’Osservatorio sugli sprechi, a livello domestico si sprecano il 17% dei prodotti ortofrutticoli, il 15% del pesce, il 28% di pasta e pane, il 29% di uova, il 30% di carne e il 32% di latticini. Parliamo di un costo annuo per famiglia di 1.693 euro.
Recentemente in Italia è stata approvata una Legge volta a combattere lo spreco di cibo. Quali sono i punti più innovativi del testo e cosa cambia rispetto al passato?
La situazione in Italia è molto migliorata grazie alla recente approvazione in via definitiva dal Senato della Legge “Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi” che semplifica e rende organico il quadro normativo, aggiornandolo e ampliandolo a più soggetti del terzo settore, a favore delle persone più povere del nostro paese. D’ora in poi, sono regolamentati la donazione e la distribuzione dei prodotti alimentari a fini di solidarietà sociale e per limitare gli sprechi. È stata semplificata la modalità di cessione gratuita degli alimenti a fini di solidarietà sociale attraverso la comunicazione telematica dei cedenti agli uffici dell’amministrazione finanziaria o al Corpo della Guardia di Finanza competente, indicando data ora luogo del trasporto, quantità trasportata e destinazione finale. Per le cessioni di beni alimentari deperibili si è esonerati dall’obbligo di comunicazione. Gli operatori del settore alimentare possono cedere gratuitamente le eccedenze a soggetti donatori e ne garantiscono la sicurezza igienico-sanitaria. Inoltre, è ampliata la platea dei soggetti autorizzati a fare distribuzioni gratuite e le categorie dei prodotti cedibili gratuitamente agli indigenti. Si possono cedere eccedenze alimentari, anche con irregolarità di etichettatura, e se le eccedenze non sono idonee agli umani, si possono destinare agli animali. Si possono donare prodotti finiti della panificazione e derivati, eccedenze di prodotti agricoli in campo o prodotti di allevamento e i prodotti oggetto di confisca. Infine, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della Legge, il Ministero della salute predisporrà le linee di indirizzo per gli enti gestori di mense scolastiche, aziendali, ospedaliere, comunitarie e sociali per contenere lo spreco connesso alla somministrazione di alimenti.
A cura della redazione