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Sport femminile: tutela dei diritti delle professioniste

12/6/2020

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Solo pochi mesi fa festeggiavamo un risultato storico. Le donne sportive potevano essere finalmente equiparate agli uomini.
Quante atlete vivono lo sport ad altissimo livello come una vera professione a tempo pieno? Quante danno all’Italia risultati eccezionali? Da quel momento finalmente possono immaginare che i loro sacrifici siano giustamente retribuiti senza ipocrisie. Un passo in avanti di civiltà.

Poi il Covid-19 ha scombussolato tutte le nostre vite. Come l'ombra della notte che scivola sulle acque e sui continenti, sta ancora facendo il giro del globo. Tutto oggi sembra più complicato.

Ci siamo tutti fermati di fronte all'esigenza di concentrarci sulla difesa della salute.

Con l'interruzione della normale programmazione degli eventi sportivi, si è bloccato anche il processo di riorganizzazione dello sport professionistico.

Chi sostiene che dopo il Covid-19 nulla sarà come prima, ha molte probabilità di avere ragione. Ma proprio perché la pandemia ci ha costretto a rivedere i comportamenti e a modificare la routine delle vecchie abitudini, proprio per questo motivo alla ripartenza dobbiamo essere capaci di affrontare con rinnovata determinazione le questioni rimaste sospese.

Una di queste riguarda il mondo del professionismo sportivo femminile.

Un tema che coinvolge molte discipline sportive, in cui le atlete come gli atleti devono affrontare allenamenti duri e quotidiani per restare agli alti livelli internazionali, rinunciando ad un lavoro continuativo. Atleti ed atlete, allo stesso modo.

Alcuni corpi dello Stato intervengono per porre rimedio a questo problema, proponendo agli atleti una carriera interessante anche dal punto di vista professionale. Situazione che risolve, almeno in parte, il problema agli atleti di discipline individuali. Così la Polizia, il Corpo dei Carabinieri, la Guardia di Finanza e la Forestale danno l'opportunità a ragazze e ragazzi di molte discipline di allenarsi e di gareggiare ad alti livelli.

Ma negli sport femminili di squadra ed in particolare nel Calcio, nel Basket e nella Pallavolo, sport nei quali l'Italia eccelle a livello internazionale, si continua a vivere nel limbo di un allenamento richiesto full time ma normalmente retribuito con stipendi camuffati da rimborsi spese, senza tutele e senza garanzie. Con la spada di Damocle di una possibile maternità che può determinare la sospensione dell'attività sportiva, la rimozione dalla rosa, senza tutele contrattuali, economiche e legali.

Prima dell'inizio della pandemia avevamo ottenuto i primi riconoscimenti legislativi che ponevano le condizioni per affrontare in modo decisivo il tema del professionismo femminile.

Si è trattato di un risultato importantissimo! Da tempo ci battevamo perché le donne nello sport fossero equiparate agli uomini. Grazie ad un emendamento della maggioranza le nostre atlete possono diventare professioniste.

Da gennaio 2020 e fino al 2022 le società' sportive che stipulano contratti di lavoro con le atlete avranno la possibilità di un esonero totale dal pagamento dei contributi assistenziali e previdenziali fino al limite massimo di 8 mila euro l'anno. Ora dobbiamo riconsiderare molte cose, tenendo conto della situazione economica generale che si presenta molto incerta.

Questo non deve rimettere in discussione i risultati ottenuti. Al contrario, dobbiamo ripartire in modo deciso con un'ottica di maggiore giustizia. Le atlete che fanno sport ad alto livello, come una vera professione a tempo pieno, ne hanno diritto. Il professionismo femminile sarà tra gli argomenti in discussione all’interno della legge delega.
 
Un po' tutto lo sport andrà ripensato e riorganizzato. Ma tutte le donne, al pari degli uomini, devono poter immaginare che i loro sacrifici siano giustamente retribuiti e tutelati.

E' appunto un passo in avanti di civiltà.

A cura dell'On. Daniela Sbrollini. 
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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