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Smart working: welfare, flessibilità e Coronavirus

14/5/2020

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Un modello in cui le esigenze aziendali e quelle dei lavoratori si incontrano, fornendo nuova vitalità e un rinato equilibrio tra lavoro e vita privata. 
Salito alla ribalta in questo periodo di emergenza, lo “Smart Working” (o come viene definito in italiano “lavoro agile”) è uno strumento di flessibilità e di Welfare nato alcuni anni fa e che ha trovato con la Legge n. 81/2017 per la prima volta un quadro normativo ad hoc.

Lo Smart Working è uno strumento dell’organizzazione del lavoro in cui le esigenze aziendali e quelle individuali dei lavoratori si incontrano, fornendo nuova vitalità ai processi aziendali e un rinato equilibrio tra lavoro e vita privata. 

Come strumento di Welfare aziendale, inserito all’interno di una politica organizzativa estesa alla generalità dei dipendenti, laddove possibile, o utile per completare un accordo individuale (ad esempio al posto di benefit convenzionali), vediamo quali sono le caratteristiche di questa nuova modalità di lavorare.

A livello normativo, il lavoro agile è inquadrato all’interno di un rapporto di lavoro subordinato come modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, con riferimento in particolar modo alla flessibilità dell’orario e del luogo di lavoro. 

Vengono meno, dunque, i vincoli di orario di lavoro, nel rispetto dei limiti di durata massima previsti dal contratto, così come il luogo di lavoro, che perde la sua concezione tradizionale di postazione fissa nei locali aziendali per ampliare i suoi orizzonti (anche in caffetteria!).

Le parti del rapporto, mediante accordo scritto che deve essere inviato telematicamente al Ministero del Lavoro, regolamentano i dettagli dello Smart Working: la durata, che può avere termine prestabilito o indeterminato ed essere cessato previo preavviso di almeno 30 giorni (90 per i disabili), a meno che non sussista un giustificato motivo; le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa al di fuori dei locali aziendali, con particolare riguardo alle eventuali dotazioni tecnologiche e al diritto alla disconnessione, tempo di riposo, in cui il lavoratore non è reperibile per l’azienda; poteri di controllo e disciplinare, nei limiti imposti dalla Legge (Statuto dei lavoratori). Ovviamente, lo smart worker ha diritto allo stesso trattamento economico e normativo dei colleghi lavoratori tradizionali. 

Anche per quanto riguarda la salute e sicurezza, il datore di lavoro deve garantire ogni tutela, individuando i rischi generali e specifici, connessi alla particolare modalità di esecuzione della prestazione. 

Il datore di lavoro rimane responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore, pur essendo tenuto quest’ultimo all’utilizzo degli stessi con i dovuti accorgimenti e a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione al di fuori dei locali aziendali.

In caso di infortunio sul lavoro, il lavoratore rimane assicurato presso l’INAIL, con le stesse caratteristiche previste per le tradizionali modalità.

Con il venir meno della modalità di lavoro agile, il rapporto di lavoro ritorna a svolgersi con le modalità ordinariamente previste dal contratto in essere.

In questo particolare momento, durante l’emergenza internazionale dovuta alla pandemia per Covid_19, il Presidente del Consiglio nei vari testi normativi che si sono susseguiti, ha più volte raccomandato che venisse attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile. 

Pertanto, è stata semplificata la procedura di accesso al lavoro agile e, limitatamente al periodo di durata dell’emergenza, è possibile collocare i lavoratori in smart working senza l’accordo tra le parti, comunicando semplicemente, con un modulo dedicato, i dati dei lavoratori. La precedenza è data ai lavoratori disabili o che abbiano all’interno del nucleo familiare una persona con disabilità. 

In conclusione, la possibilità di lavorare da casa o comunque al di fuori dei confini aziendali, è stata sdoganata dalla necessità di distanziamento sociale, di limitazione delle presenze all’interno dei luoghi di lavoro per salvaguardare la salute dei lavoratori. 

Lo smart working, dunque, si è fatto conoscere anche da chi non ne aveva mai sentito parlare o non lo aveva mai utilizzato, o voluto utilizzare, magari anche per una certa diffidenza nel lasciare lavorare da casa i propri dipendenti. 

Tale strumento, invece, si è dimostrato ampiamente utile per conciliare i tempi di lavoro con quelli di vita privata: pensiamo a un genitore, che può gestire le proprie scadenze e garantire i propri obiettivi di lavoro, senza far mancare una carezza ai figli. Senza considerare, come evidenziato da recenti studi, l’innalzamento della produttività individuale, a dimostrazione del fatto che se un lavoratore è più sereno e rilassato, è anche più motivato e lavora meglio. 

Ovviamente, sta nel buon senso del singolo dipendente non approfittare della fiducia concessa dal datore di lavoro, poiché le conseguenze disciplinari sono dietro l’angolo. Lo Smart Working può essere uno strumento efficace per consentire di vivere meglio il proprio lavoro e di aumentare la produttività aziendale. 

Consente di estendere la propria presenza in famiglia o comunque di gestire meglio la propria vita privata, ma deve essere ben concepito, con dotazioni tecnologiche adeguate, informative capillari e un monitoraggio che non deve tradursi in un mero controllo a distanza. Un reciproco rapporto di fiducia tra datore e lavoratore che, risponde alle esigenze delle persone e delle organizzazioni. Sarà il nuovo modo di concepire il lavoro in futuro?

A cura di Gianluca Cerqueti.
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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