Qualcuno potrebbe obiettare che la possibilità di lavorare fuori dall’azienda esisteva già da tempo ed era denominata attività in “telelavoro”.
La differenza fra le due tipologie è importante e sostanziale: il telelavoro infatti prevede una postazione lavorativa fissa non dissimile da quella aziendale, allestita generalmente presso il domicilio del lavoratore, mentre il lavoro agile può essere svolto ovunque, a discrezione del lavoratore.
I vantaggi sono per entrambi: l’azienda risparmia sui costi fissi della postazione lavorativa e il lavoratore migliora la propria qualità di vita e, si spera, anche la qualità del proprio lavoro.
Ciò che non era possibile fino a pochi anni fa, cioè lo sganciamento della prestazione lavorativa da un luogo fisso predeterminato, si è realizzato a seguito dello sviluppo della rete di trasmissione dati e degli apparati tecnologici ad essa connessi.
La più evidente conseguenza pratica è che viene meno il concetto stesso del rispetto dell’orario di lavoro. I controlli infatti non sono più di aspetto materiale ma di sostanza, con la verifica della prestazione sulla base del risultato conseguito.
Ma vediamo come potrebbe svolgersi la prestazione anche sulla base di esperienze già in atto. Nelle aziende medio grandi che hanno sottoscritto accordi con i lavoratori, la modalità organizzativa si può definire “leggera”, prevedendo lo smart working per un giorno alla settimana o per un tetto massimo annuale in giorni o in ore da concordarsi di volta in volta, ma sulla base di una durata complessiva non superiore a un giorno settimanale.
Ovviamente vi sono alcune funzioni a cui non si addice intrinsecamente tale tipologia, ad esempio i cicli integrati di produzione, le mansioni di vendita diretta e le attività di sorveglianza.
Particolari soluzioni più favorevoli sono state pattuite fra le aziende e le lavoratrici soltanto per il periodo di lavoro in gravidanza, o per i lavoratori disabili con limitazioni importanti.
Come spesso purtroppo accade nel nostro Paese queste esperienze sono state avviate in assenza di tutele normative. Si pensi, ad esempio, ai dubbi che una prestazione delocalizzata pone in ordine alla copertura assicurativa degli infortuni sul lavoro.
Ora il legislatore sta correndo ai ripari ed è in discussione in Parlamento un disegno di legge governativo che, nelle intenzioni, dovrebbe risolvere le incertezze che stanno frenando la diffusione di questa tipologia di prestazione.
Infatti è del tutto evidente che, basandosi questo tipo di attività sulla reciproca fiducia fra datore di lavoro e lavoratore, occorre prevedere un assetto normativo che indirizzi le parti in un percorso di regole condivise, evitando la possibilità di imposizioni e/o prevaricazioni fra lavoratore e azienda.
A cura di Simone Cogno