Nel caso sottoposto alla Corte, uno scooter guidato da una minorenne era stato tamponato da un’autovettura. I genitori della vittima, in qualità di esercenti la responsabilità genitoriale, avevano inviato diffide al proprietario dell’autovettura con richiesta di comunicare loro i propri dati assicurativi. Poiché tali richieste erano rimaste prive di riscontro, i genitori si erano rivolti al Giudice di Pace, chiedendo la condanna del proprietario dell’autoveicolo e della Compagnia Assicurativa designata in base all’art. 20 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, a risarcire i danni patiti dalla minore.
La legge richiamata (recante Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti e abrogata con l’entrata in vigore del Codice delle Assicurazioni Private), infatti, aveva istituito il Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, organismo nato allo scopo di risarcire i danni causati, tra le altre ipotesi, da veicolo identificato ma non coperto da assicurazione. Alla gestione dei sinistri di competenza del Fondo di Garanzia provvedono le cosiddette “Imprese designate”, competenti a seconda della zona di accadimento del sinistro.
Il procedimento avanti al Giudice di Pace si concludeva con la condanna del proprietario dell’autovettura e
della Compagnia Assicurativa, in solido tra loro, a risarcire il danno subito dalla danneggiata.
La sentenza veniva impugnata dalla Compagnia Assicurativa nei confronti della vittima che, divenuta nel frattempo maggiorenne, proponeva a sua volta appello incidentale. In accoglimento dell’appello principale, la sentenza di primo grado veniva parzialmente riformata dal Tribunale, riconoscendo come la vittima non avesse fornito prova della scopertura assicurativa del veicolo che l’aveva tamponata e condannando, pertanto, il solo proprietario dell’autovettura al risarcimento dei danni prodotti.
La pronuncia del Tribunale veniva impugnata dalla danneggiata con ricorso in Cassazione. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente sosteneva di aver allegato, nei due gradi di giudizio, la circostanza che la vettura danneggiante fosse sprovvista di assicurazione e che, in merito, controparte non avesse provato nulla né contestato alcunché.
La Corte di Cassazione ha rigettato tale motivo di ricorso, evidenziando i presupposti per l’applicazione del
cosiddetto “principio di non contestazione”, secondo cui il convenuto, ai sensi dell’art. 167 del Codice di Procedura Civile, è tenuto a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall’attore a fondamento della propria domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte si sia limitata ad una contestazione generica (Cass. 6/10/2015, n. 19896).
Nel dettaglio, i Giudici di legittimità hanno disatteso tale motivo rilevando che il principio di non contestazione postula che la parte che lo invoca abbia per prima ottemperato all’onere processuale, posto a suo carico, di compiere una puntuale allegazione dei fatti di causa; nel caso di specie, il Tribunale aveva correttamente e motivatamente ritenuto generica l’allegazione di parte attrice, relativa alla dedotta mancanza di assicurazione.
Con il secondo motivo la ricorrente denunciava l’omesso esame circa il fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti rappresentato dal silenzio serbato dal danneggiante in relazione alle ripetute diffide con cui i genitori dell’allora minore lo avevano invitato a comunicare i dati assicurativi; secondo la ricorrente, tale fatto era di per sé idoneo a far presumere che l’autovettura fosse sprovvista di assicurazione.
Sul punto, tuttavia, la Corte ha ritenuto che non fosse stato violato l’art. 2697 del Codice Civile, che testualmente recita: “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.
Secondo i Giudici di legittimità tale violazione si configura solo qualora il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa, da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare.
Infine la ricorrente censurava l’omessa e contraddittoria motivazione in ordine alla mancanza di copertura assicurativa poiché il Tribunale, pur avendo riconosciuto in astratto possibile che una sola presunzione potesse essere sufficiente, non aveva tenuto in conto le allegazioni fornite dalla vittima.
Anche tale censura è stata disattesa dalla Corte, alla luce del rilievo che il Tribunale, in base ad un accertamento di fatto e con motivazione priva di vizi logici, aveva ritenuto insussistente la prova, anche presuntiva, della scopertura assicurativa, senza disattendere il principio della libera valutazione delle prove sancito dall’art. 116 del Codice di Procedura Civile.
In base alla norma citata “Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti” e “può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno a norma dell’articolo seguente, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha ordinato e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo.”
Pertanto, dalla pronuncia in esame, si evince che, in caso di sinistro stradale che veda coinvolto un veicolo sprovvisto di assicurazione, grava sul danneggiato l’onere di dimostrare in giudizio che la vettura danneggiante è priva di copertura assicurativa, non essendo a tal fine sufficiente riferire in giudizio che il danneggiante abbia omesso di riferire i propri dati assicurativi. In mancanza di tale prova, il Fondo di garanzia per le vittime della strada non potrà essere chiamato a rispondere dei danni patiti dal danneggiato.
A cura di Elisa Fea.