Grattacieli e ruota panoramica cingono in uno sfavillio iridescente la baia, presidiata da un “esercito” smisurato di grandi mercantili: il porto commerciale della città-Stato è uno dei più trafficati al mondo.
Il quadro che ne viene fuori, atterrando a Singapore quando il buio è già sceso, è una distesa brulicante di luci. È come se il cielo intero si specchiasse in riva al mare, anziché restare nascosto dietro la bassa, umida coltre di nubi, così comune nel Sud-Est asiatico. Ma qui è diverso, siamo a Singapore, e Singapore è unica.
È una città aperta, cosmopolita, pullulante di etnie e culture diverse.
È uno Stato indipendente, 450 volte più piccolo dell’Italia, che conta un’isola maggiore, su cui sorge la metropoli, e una sessantina di isolotti, a sud della penisola malese.
È tra i Paesi più densamente popolati e sicuri al mondo e anche uno dei più ricchi, il terzo (dopo Qatar e Lussemburgo) nella classifica 2016 stilata dal Global Finance Magazine.
È terreno fertile per i giganti della finanza mondiale, che hanno stabilito qui il loro quartier generale, precisamente nel distretto degli affari singaporiano, Marina Bay, il cui skyline è un concentrato di architetture futuristiche, boutique di lusso ed eleganti boulevard.
Lo spettacolo della baia, particolarmente suggestivo in notturna, è perfetto dallo SkyPark che domina dall’alto il mega resort Marina Bay Sands, offrendo un punto di osservazione a dir poco privilegiato sulla città.
Questo hotel di lusso conta tre torri da 55 piani l’una, sulle quali poggia l’enorme piattaforma dello SkyPark, a 200 metri da terra, visitabile anche da chi non soggiorna in hotel, dietro pagamento di un biglietto.
Bastano pochi, vertiginosi secondi in ascensore per arrivarci. Quassù, una spettacolare piscina infinity, lunga 150 metri, si affaccia direttamente su Marina Bay e una terrazza panoramica, letteralmente sospesa nel vuoto, offre vedute mozzafiato da un lato sui palazzi filiformi della City, dall’altro sui giardini botanici.
I giardini di Singapore sono un’opera di bioarchitettura unica al mondo, che concilia uomo e natura, innovazione tecnologica e tutela della biodiversità. Parliamo di oltre 100 ettari di verde, fra serre e spazi aperti, culminanti nel bosco di “superalberi” artificiali, alti fino a 50 metri, ricoperti di vegetazione e dotati di pannelli solari, sistemi di raccolta dell’acqua piovana e impianti geotermici che garantiscono l’autonomia e l’ecosostenibilità dell’intera struttura.
Un punto di vista alternativo sul turbinio della metropoli, si raggiunge in cima alla ruota panoramica cittadina, Singapore Flyer. Poco più di mezz’ora per compiere un giro completo e tenere “in pugno” la città, dall’alto dei suoi 165 metri. La ruota svetta ai piedi del circuito cittadino che ogni anno, dal 2008, ospita il Gran Premio di Formula 1.
Singapore, però, non è solo un agglomerato di grattacieli, tesi al futuro. È un Paese denso di tradizioni, variegato e multiculturale.
All’ombra dei palazzi d’acciaio che toccano il cielo, si susseguono case pastello di epoca coloniale, mentre file di lanterne rosse addobbano le vie dell’affollato quartiere cinese e un intenso profumo d’incenso avvolge il frenetico mercato indiano. Il tutto nel giro di pochissimi chilometri quadrati.
Percorriamo Orchard Street, il lungo viale dedicato allo shopping, assediato dai grandi marchi internazionali della moda. Ci rifugiamo in una piccola traversa, Emerald Hill Road: scopriamo che a pochi metri dagli enormi centri commerciali si srotolano stradine tranquille come questa, che conserva il fascino coloniale di eleganti case a due piani, con facciate finemente decorate, alte finestre e persiane in legno colorato.
Se ne stanno lì, sornione, a ricordarci che Singapore fu fondata in piena epoca coloniale da un inglese, Sir Stamford Raffles; un dominio, quello britannico, da cui la città riuscì a sottrarsi solo nel 1965.
Ci affascinano le basse costruzioni affacciate sull’Arab Street, la pacata via in fondo a cui svetta la cupola dorata della Moschea del Sultano, nel quartiere popolato da malesi e arabi musulmani.
Dalla tranquillità dell’Arab Street alla confusione di Little India: un tripudio di colori e aromi nel mercato locale, in cui facciamo slalom tra lunghe e sgargianti corone di fiori appese ad ogni bancarella.
E ancora, la vivacissima Chinatown di Singapore con i suoi ristorantini, i locali e il Buddha Tooth Relic Temple, monumentale tempio di quattro piani, color amaranto, che secondo i fedeli conserva un dente del Buddha.
Dalle insegne in lingua tamil alle vetrine allestite con i prodotti della medicina tradizionale cinese, sembra lontano anni luce il quartiere degli affari, ma basta alzare lo sguardo per scorgere, oltre le costruzioni dei quartieri etnici, il profilo dei grattacieli a specchio.
Singapore è il vero ombelico del mondo, un crogiolo di etnie e stili di vita completamente diversi, eppure capaci di convivere fianco a fianco. Una Babilonia sì, ma ordinata e pacifica.
A cura di Francesca Vinai