L’art. 1803 del Codice civile definisce “comodato” il contratto, essenzialmente gratuito, col quale una parte (comodante) consegna all’altra (comodatario) una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta.
In sede di separazione personale dei coniugi, ai sensi dell’art. 337-sexies del Codice civile, il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli; dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà; il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.
I Giudici di legittimità hanno ribadito la distinzione tra il comodato volto a soddisfare stabili esigenze abitative familiari, destinato a protrarsi finché durino tali esigenze, disciplinato dall’art. 1809 del Codice civile, ed il comodato senza fissazione di termine, nemmeno implicito, cosiddetto “precario” e soggetto alla disciplina dell’art. 1810 del Codice civile.
Nel primo caso, il comodatario è obbligato a restituire la cosa alla scadenza del termine convenuto o comunque quando se ne sia servito in conformità del contratto. Se, però, durante il termine convenuto o prima che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa, sopravviene un urgente ed impreveduto bisogno al comodante, questi può esigere la restituzione immediata.
Nel caso di comodato senza fissazione di termine, invece, il comodatario è tenuto a restituire la cosa non appena il comodante la richieda (cosiddetto “recesso ad nutum”).
Nel caso esaminato dalla Cassazione, un genitore proprietario di un immobile aveva concesso tale bene in comodato al figlio affinché vi abitasse con la moglie. A seguito della successiva separazione dei coniugi, l’immobile veniva assegnato alla moglie in quanto affidataria di figli minori.
Emergeva pertanto il conflitto tra due interessi contrapposti: quello del proprietario e quello del coniuge assegnatario dell’immobile.
Il Tribunale respingeva la domanda del proprietario dell’immobile che aveva agito nei confronti dei comodatari per la restituzione dell’immobile, sostenendo che il comodato fosse a titolo gratuito e senza determinazione di tempo e, pertanto, invocando la legittimità della richiesta di restituzione ai sensi dell’art. 1810 del Codice civile.
La Corte d’appello confermava la sentenza di primo grado. Giunti in Cassazione, la causa veniva assegnata alle Sezioni Unite della Corte.
La conclusione cui sono giunti i Giudici di legittimità consiste in ciò, che il coniuge affidatario della prole minorenne, o maggiorenne non autosufficiente, assegnatario della casa familiare, può opporre al comodante, che chieda il rilascio dell’immobile, l’esistenza di un provvedimento di assegnazione, pronunciato in un giudizio di separazione o divorzio, solo se tra il comodante e almeno uno dei coniugi il contratto in precedenza insorto abbia contemplato la destinazione del bene a casa familiare.
Ne consegue che, in tale evenienza, il rapporto, riconducibile al tipo regolato dagli articoli 1803 e 1809 del Codice civile, sorge per un uso determinato ed ha, in assenza di una espressa indicazione della scadenza, una durata determinabile per relationem.
Ne consegue l’applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare, indipendentemente dall’insorgere di una crisi coniugale, ed il contratto è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari che avevano legittimato l’assegnazione dell’immobile.
Le Sezioni Unite si sono uniformate, quindi, all’orientamento fatto proprio già nel 2004 (Cass. civ., Sez. Un., 21 luglio 2004, n. 13603), a mente del quale, nell’ipotesi di concessione in comodato da parte di un terzo di un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minori o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti, emesso nel giudizio di separazione o di divorzio, non modifica la natura ed il contenuto del titolo di godimento sull’immobile, ma determina una concentrazione, nella persona dell’assegnatario, di detto titolo di godimento, regolato dalla disciplina sul comodato.
Pertanto il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell’art. 1809 del Codice civile.
In conclusione, la Corte di Cassazione ha evidenziato che il comodato avente ad oggetto un bene immobile volto a soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario, si configura quale comodato a termine e soggiace alla disciplina di cui all’art. 1809 del Codice civile.
Si deve intendere come “termine”, individuato per relationem, la destinazione dell’immobile a casa familiare, indipendentemente dall’insorgere di una crisi coniugale.
Solo dalle norme in tema di assegnazione della casa familiare (artt. 337-bis ss. del Codice civile) possono discendere la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità che legittimano l’assegnazione della casa familiare.
Perciò, durante la pendenza del termine stabilito per relationem, ai sensi dell’art. 1809 del Codice civile, solo in caso di urgente ed impreveduto bisogno del comodante egli potrà chiedere la restituzione del bene.
Si evidenzia, inoltre, che il predetto bisogno deve caratterizzarsi come imprevedibile ed urgente, nonché essere sopravvenuto rispetto alla cessione del bene in comodato.
Resta escluso qualsiasi bisogno non attuale, non concreto, ma solo in astratto ipotizzabile. Deve trattarsi, poi, di bisogno serio, non voluttuario o artificialmente indotto.
D’altro canto il comodatario, o il coniuge separato con cui sia convivente la prole minorenne o non autosufficiente, che opponga alla richiesta di rilascio l’esistenza di un comodato di casa familiare con scadenza non prefissata, ha l’onere di provare che tale era la pattuizione attributiva del diritto personale di godimento.
A cura di Elisa Fea