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Senza il sud l’Italia non riparte

24/8/2020

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Un dibattito sul tema non può essere affrontato facendosi fuorviare da analisi superficiali, cattiva informazione e pregiudizi.
Questione meridionale, rilancio del Sud, priorità Mezzogiorno. Se ne parla da decenni, ma il problema della disparità tra nord e sud, in Italia, rimane ancora sul campo. Da affrontare, finalmente, con idee, visione d’insieme, atti concreti. Servono scelte non assistenzialiste, ma in grado di garantire parità di condizioni per costruire nuove opzioni di sviluppo. 

Un dibattito su questo tema, però, non può essere affrontato facendosi fuorviare da analisi superficiali, cattiva informazione e pregiudizi, in verità duri a morire. Appare dunque utile allargare l’analisi su elementi fondamentali, ma spesso taciuti o poco noti ai più. Troppo spesso il confronto si è incentrato, infatti, sulla questione del residuo fiscale, ossia la quota di tasse che, raccolta sul territorio, rimane sul territorio stesso o va allo Stato. Naturalmente questo dato è più alto al nord, dove ci sono più ricchezza (Pil) e lavoro. 

La questione di quanto i territori pagano in tasse rispetto a quanto ricevono è certamente importante, ma non può prescindere dall’altra questione fondamentale, e cioè: quanto il singolo territorio riceve in assoluto? Corrisponde al vero affermare che chi riceve di più è anche quello che paga di più? Vediamo.

Qualche mese fa sono circolati i dati della Ragioneria generale dello Stato sulla “spesa statale generalizzata”: una successiva analisi (non della Ragioneria) un po’ frettolosa, e politicamente orientata, interpretò questi dati sostenendo che fossero Lombardia e Veneto le Regioni che ricevevano di meno, dando quindi manforte alla necessità di un riequilibrio, alla litania di un Sud spendaccione, etc.

Ma la fretta, si sa, è una cattiva consigliera: negli stessi dati la Ragioneria osservò che su circa 590 miliardi di euro l’anno di pagamenti effettuati dallo Stato, ne dovevano essere considerati “regionalizzabili”, cioè ripartibili a livello regionale, circa 270. Questo elemento, non di dettaglio, non era stato considerato dall’analisi. 

I dati della Ragioneria, peraltro, escludevano la spesa previdenziale e per assistenza sociale, che da sole costituiscono quasi il 70 per cento della spesa che la stessa Ragioneria considera “non regionalizzabile”. 

La Ragioneria, infine, non considera le risorse proprie impegnate nella sanità dalle Regioni né, per esempio, quelle legate alle società controllate pubbliche che forniscono servizi molto importanti per la qualità della vita dei cittadini, per esempio i trasporti locali e la raccolta dei rifiuti. 

Chi si occupa in modo specifico di elaborare tutti i dati di cui necessitiamo in questa disamina è il Sistema Conti Pubblici Territoriali (CPT), che misura e analizza i flussi finanziari di entrata e di spesa delle amministrazioni pubbliche e di tutti gli enti appartenenti alla componente allargata del settore pubblico (ad esempio Consorzi, Società partecipate e Fondazioni).

Dotato di una struttura organizzativa a rete e a vocazione fortemente territoriale, il Sistema CPT opera all’interno dell’Agenzia nazionale per la Coesione territoriale con il ruolo di produttore di dati per la statistica pubblica ufficiale. Una fonte, dunque, istituzionale, non di parte.

Ebbene: secondo i dati più recenti del sistema CPT sul totale della pubblica amministrazione (comprensivo anche di Regioni, enti locali ed enti previdenziali) il Centro-Nord è in vantaggio con una spesa pro capite di 13.400 euro contro i 10.900 del Sud. Se nel conto si include anche il settore pubblico allargato (ENI, Ferrovie dello Stato, società municipalizzate, ecc.) il divario arriva a quasi 4 mila euro a persona, con una spesa pubblica pro capite al Centro-Nord pari a 17 mila euro e al Sud pari a 13.300 euro. 

Quanto alle regioni: chi riceve nel complesso la maggior quantità di spesa pubblica pro capite è la Valle d’Aosta, con 25 mila euro annuali. Tra le Regioni non a statuto speciale riceve più spesa pubblica il Lazio, con 22 mila euro, seguita dalla Liguria, con 18 mila. Molto ben piazzate anche le Province autonome di Trento (21.353) e Bolzano (20.695), il Friuli Venezia Giulia (18.329). 

La regione dove, invece, si spende meno è la Campania, con 12 mila euro: meno della metà della Regione che riceve di più. A fondo classifica anche Calabria (13.605) e Sicilia (13.686). Per rendere la situazione ancora più chiara, ecco un altro esempio: il confronto fra Reggio Emilia e Reggio Calabria. Impietoso. 

Alla prima è riconosciuto un fabbisogno standard (gli indicatori che stimano il fabbisogno finanziario necessario ai Comuni per svolgere le proprie funzioni fondamentali) di 139 milioni di euro, mentre a Reggio Calabria, che certamente gode di servizi minori, 104 milioni. Vale a dire 35 milioni in meno, nonostante la stessa abbia 9mila abitanti in più (la prima ne ha 171 mila e la seconda 180 mila). Spesa per la cultura: a Reggio Emilia sono riconosciuti 21 milioni di euro, a Reggio Calabria 4. Per l’istruzione, alla prima sono concessi 28 milioni e alla seconda 9. Edilizia abitativa: 54 contro 8. 

Per le politiche sociali (disabili inclusi), a Reggio Emilia sono riconosciuti circa 40 milioni e a Reggio Calabria 17. Nella città emiliana vi sono poi 60 asili pubblici, mentre nellaseconda solo 3, peraltro realizzati e mantenuti non da finanziamenti dello Stato, ma comunitari. E in particolare, per gli asili nido, Reggio Calabria riceve soltanto 59 euro pro capite l’anno, mentre Reggio Emilia 2.400 euro pro capite. Un esempio di stortura oggettivamente inaccettabile. 

Come Movimento 5 stelle ci battiamo da tempo per un riequilibrio, e abbiamo fortemente voluto la clausola che impone alle amministrazioni centrali di destinare al Mezzogiorno una quota di investimenti pari alla popolazione (34%). A smentire, dati alla mano, il refrain politicamente orientato del nord che paga più tasse ci ha pensato (anche) l’Eurispes con una recentissima indagine che ha svelato quale è il Comune in Italia dove è più elevata la pressione fiscale. è, ancora una volta, Reggio Calabria. 

L’ammontare complessivo di Irpef, Tasi, bollo auto, Tari e addizionali comunali e regionali all’Irpef obbliga 
una famiglia media calabrese a pagare 7.684 euro di tasse annue. A Reggio Calabria seguono Napoli (7.658 euro l’anno) e Salerno (7.648 euro l’anno). Le città italiane le cui famiglie, invece, pagano meno tasse si trovano soprattutto al Nord-Est.

Tutto ciò si inserisce in un sistema che vede un divario di redditi tra nord e sud di circa il 40%: 27.700 euro dichiarati in media in Lombardia e 16mila in media in Calabria. Al Sud la disoccupazione è al 18% della forza lavoro, 11 punti in più rispetto al centronord.

Garantire parità di condizioni di sviluppo, lavoro, infrastrutture, servizi e, dunque, di risorse (e diritti), è la grande sfida che l’Italia ha davanti nei prossimi anni. E le risorse del Recovery fund devono rappresentare un’occasione fondamentale (ed irripetibile) di rilancio della crescita e del benessere in tutto il territorio nazionale, in un’ottica di coesione nazionale, autonomia non divisiva ma virtuosa e di “qualità”, e pari dignità.

A cura dell’On. Alessandro Amitrano.
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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