Il testo dell’art. 172 comma 1-bis del D.Lgs. 285 del 1992 è chiaro: per determinate categorie di veicoli (M1, N1, N2 e N3) immatricolati in Italia, o immatricolati all'estero e condotti da residenti in Italia, il conducente, quando trasporta un bambino di età inferiore a quattro anni assicurato al sedile, ha l'obbligo di utilizzare apposito dispositivo di allarme volto a prevenire l'abbandono del bambino.
Le caratteristiche tecnico-costruttive e funzionali del seggiolino sono stabilite con il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 2 ottobre 2019, n.122.
Per i trasgressori, a far data dal 6 marzo, è prevista una sanzione amministrativa da 83 a 333 euro oltre alla decurtazione di 5 punti patente.
Un dubbio riguarda i soggetti destinatari della norma. Il Decreto Ministeriale ha espressamente evidenziato che la disciplina non pregiudica la normativa di armonizzazione dell'Unione, che continua ad applicarsi quando i dispositivi contemplati dalle norme nazionali sono in contrasto con la disciplina comunitaria.
È questo il motivo che ha portato a considerare questo provvedimento non un obbligo di dotazione dei veicoli in circolazione ma una norma di comportamento. Considerare il dispositivo una dotazione del veicolo avrebbe comportato l’impossibilità di contestare la violazione ai conducenti di auto immatricolate all’estero. In astratto, infatti, per le regole di comportamento non servono componenti aggiuntivi a bordo.
La soluzione adottata, tuttavia, non appare ottimale atteso che a prescindere dalla nazionalità, per i veicoli immatricolati in Italia, a tutti i conduttori, residenti in Italia o all’estero e, per i veicoli immatricolati all’estero, ai soli conduttori residenti in Italia. Per motivi affatto logici si è introdotta in tema di circolazione una norma di comportamento che non si applica ai soggetti residenti all’estero che circolano sul territorio italiano a bordo di autovetture immatricolate all’estero.
Ed ora non resta che verificare quale sarà il caso di contestazione di questa singolare ipotesi di discriminazione inversa che penalizza i conducenti di veicoli residenti in Italia ed i veicoli immatricolati in Italia.
Certo non è stato valutato a sufficienza un fattore determinante: richiedere questo comportamento ai soggetti residenti in Italia a bordo di auto straniera vuol dire mettere in difficoltà i soggetti che, anche se non formalmente iscritti all’AIRE, di fatto lavorano all’estero e verranno in Italia con le auto immatricolate nel Paese ove vivono. Paesi nei quali si presume non sarà semplice trovare dispositivi che rispondono alle norme italiane. Detto per inciso, sono svantaggiati i connazionali che hanno deciso di pagare le imposte in Italia.
Al tempo stesso, non si rinviene la ragione che ha portato ad esentare dall’applicazione i soggetti stranieri alla guida di auto immatricolate all’estero, anche se la loro presenza sul suolo nazionale può essere tutt’altro che temporanea.
D’altra parte è innegabile che una norma di comportamento si dovrebbe applicare a tutti i soggetti che circolano sul territorio nazionale, a prescindere dalla loro residenza. È altrettanto logico, tuttavia, rilevare che per tenere un certo comportamento, dove il veicolo in uso deve possedere particolari dotazioni di bordo, il rischio di contrasto con le norme comunitarie è concreto. Ed ecco per quale motivo è nato il pasticcio sui destinatari della norma, ovvero la definizione di norma di comportamento che non si esige da tutti i conducenti di veicoli.
A cura di Mary Lin Bolis.