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Rugby World Cup 2015

10/11/2015

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​Il mondo è ovale e, per questa edizione, tutto nero. Diario di viaggio a Londra per la finale mondiale.
Il rugby per il mondo anglosassone (e relative ex colonie) è come una religione, forse anche di più.
È il 30 ottobre 2015, ci sono 80.125 fedeli pronti ad assistere alla regina di tutte le sfide, Nuova Zelanda contro Australia, le due squadre che si sono fatte strada tra le 20 finaliste, in un’edizione che ha sancito l’egemonia dell’emisfero sud della palla ovale (le due eliminate dalle precedenti semifinali sono state infatti Argentina e Sudafrica).
Da una parte il mito e il fascino degli All Blacks neozelandesi, famosi per la haka e il gioco tecnico e rude, dall’altra i Wallabies australiani.
In campo ci sono alcuni tra i più talentuosi giocatori di rugby. Tra gli All Blacks, vanno segnati sul taccuino l’erede dello sfortunatissimo Jonah Lomu, il mastodontico Julian Savea, poi il flanker Richie McCaw e l’ex miglior giocatore del mondo Kieran Read. In maglia gialla, la punta di diamante è indubbiamente Israel Folau.
I bookies inglesi sembrano fortemente sbilanciati sulla vittoria dei tutti neri e anche i numerosi tifosi che affollano Trafalgar Square, dove si raccolgono i tifosi che non hanno trovato i biglietti, sono decisamente più a favore degli All Blacks (anche perché con l’Australia ci sono in campo forti rivalità nel cricket).  
La giornata parte dalla stazione di Waterloo, destinazione Twickenham. Il vagone è un trionfo di colori, i gialli australiani battono i tutti neri (almeno sul mio vagone).
Pochi passi e le vetrate di Twickenham emergono in tutto il loro splendore. Davanti all’ingresso sud c’è la recente statua in bronzo dedicata al rugby di Gerald Laing. Tra selfie e striscioni vari ci dirigiamo all’ingresso.
La sorveglianza è meticolosa, ma la coda si dipana rapida e indolore (niente ammassi o lamentele o altro). Settore M24, fila 62, l’atmosfera è elettrizzante, l’attesa spasmodica.
In palio, c’è la possibilità di fregiarsi del maggior numero di vittorie della coppa del mondo, dato che ad oggi sono appaiate a due vittorie ciascuna. In più gli All Blacks, vincendo, scriverebbero un’altra pagina di storia: nessuno ha mai vinto due edizioni consecutive.
L’haka vista dal vivo è impressionante, con i tifosi neo zelandesi che cantano e i giocatori che ruggiscono in campo. In questo momento non invidio i giocatori australiani.
Si parte, l’inizio è equilibrato, la tensione e la portata dell’evento sembrano bloccare i giocatori delle due squadre. Dopo 26 minuti si è ancora sul 3 a 3. 
I tutti neri decidono di dare uno strappo alla partita e in pochi minuti due piazzati, una meta e la successiva realizzazione portano il punteggio 16 a 3 per la Nuova Zelanda.
Fine primo tempo e la sensazione che per gli All Blacks sia tutta in discesa. Sensazione confermata dai primi minuti del secondo parziale, dove la meta del veterano Ma’a Nonu allarga il divario a 21 a 3.
Ma proprio quando la capitolazione sembra ad un passo, arriva la reazione dei Wallabies. Spinti dalla marea gialla e dal cartellino giallo, con conseguente espulsione temporanea subita dalla Nuova Zelanda, che ha permesso di giocare 15 contro 14 per dieci minuti, gli australiani riescono a risalire fino al 21 a 17.
Ma è un fuoco di paglia e gli All Blacks chiudono la partita 34 a 17.
Emozione in campo e sugli spalti, con tifosi anche neutrali visibilmente emozionati.
La perla finale è l’haka finale, davanti alla coppa, quasi a sfidarla per compiere un ulteriore step: riportarla a casa anche la prossima edizione…
È stata un’esperienza unica, che ha come filo conduttore il rispetto e la passione (positiva) dell’ambiente del rugby. Con tifosi “avversari” che brindavano a birra (molta birra) dopo la finale. Impensabile ad esempio nel calcio italico.
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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