A parte la nostra incorreggibile propensione tutta italiana a usare termini stranieri e in particolare inglesi, quasi a voler cercare qualcosa di esotico anche in atti e decisioni molto concrete e materiali, quello che mi colpisce è l’ostinata incapacità sia di noi politici sia dei media a chiamarlo per quello che è, non solo nel nome ma anche negli obiettivi.
Non è un caso infatti che in Europa abbiamo deciso di intitolare questo piano straordinario, pensato e costruito sia nelle quantità che nei modi per rispondere a un evento straordinario, con il termine Next Generation - Nuova Generazione.
Non si tratta solo di una questione semantica ma a mio avviso, anche di un elemento costitutivo, fondamentale del nuovo modo di agire dell’Europa. Cioè, messa di fronte a un ostacolo enorme, l’emergenza sanitaria e la crisi economica innestata dalla Covid, la nostra comunità di europei ha deciso non di guardare indietro, ma di fare un deciso salto in avanti, guardando al domani, appunto, alle nuove generazioni.
E' come se il Coronavirus avesse svegliato, anche brutalmente, da uno stato di sonnolenta indolenza la politica e le istituzioni europee costringendole a guardare a come sciogliere i nodi dell’oggi (riduzione della crescita economica, aumento della disoccupazione, crescita delle disuguaglianze) guardando al domani.
E lo sta facendo scegliendo la strada di iniziare a costruire, sia nei rapporti fra Stati sia nelle misure, una vera Unione di Europei al posto di una semplice sommatoria di Stati nazionali.
E dentro questa nuova cornice istituzionale sta imboccando la via di quella che a me piace definire crescita sostenibile: cioè una vera riconversione ecologica non solo della nostra economia, ma del nostro stesso sistema di vita.
Pensiamo ai trasporti, sia quelli pubblici che quelli privati, e sia di persone che di merci e possiamo subito immaginarci che qui e ora potremo, se vogliamo, fare una vera rivoluzione copernicana in grado di garantire un diritto fondamentale come quello della mobilità con un sistema integrato che sia ambientalmente sostenibile.
Già ora, ad esempio, vanno in questa direzione alcune misure che Parlamento e Governo hanno preso in questi mesi difficili. Il cosiddetto ecobonus rottamazione è proprio uno strumento in cui le risorse pubbliche sono volte a garantire un ricambio dei mezzi circolanti con la sostituzione di quelli più inquinanti con altri a minore impatto ambientale.
Una scelta volta a dare alle famiglie un aiuto a cambiare auto così da poter muoversi su un mezzo meno inquinante, ma anche a dare respiro a un’area strategica della nostra economia, l’industria dell’automobile che è un settore ad alta percentuale sia di occupazione sia di ricerca tecnologica.
La stessa filosofia è alla base ad esempio anche dell’ecobonus del 110% per la ristrutturazione delle case. Perché anche in questo modo da una parte viene sostenuto il settore edile, anch’esso a forte valore aggiunto di occupazione, e dall’altra si permette un recupero ecologico e antisismico del patrimonio edilizio esistente. Il risultato sarà che avremo abitazioni meno energivore, più sicure e con più valore sul mercato immobiliare.
Come si vede, si tratta in entrambi i casi di usare la leva pubblica per avviare un circolo virtuoso che si autoalimenti proprio perché si basa su un obiettivo da raggiungere oggi, ma che ha lo sguardo rivolto al domani.
La stessa filosofia va messa dentro al piano di rinascita nazionale e europea che fra qualche settimana l’Unione Europea dovrà varare ufficialmente.
Come Parlamento in generale e in particolare come commissione Bilancio della Camera, di cui sono presidente, in questi giorni stiamo analizzando le idee del Governo sulle cose da fare.
Non sarà un esame passivo. Come rappresentanti dei cittadini abbiamo intenzione di intervenire nelle linee fondamentali di quello che sarà il Piano italiano di rinascita per le nuove generazioni da portare all’attenzione della Ue.
La quantità dei finanziamenti previsti (oltre 200 miliardi di euro, quasi 10 manovre finanziarie annuali) e la modalità della governance di questi aiuti e prestiti, ci impone, a noi parlamentari, di assumerci la responsabilità di indirizzare ogni intervento al futuro.
Perché questa è una occasione che al nostro sistema Paese non ricapiterà più e quindi non possiamo sprecarla. Abbiamo cioè la grande opportunità, qui e ora, di affrontare e risolvere alcuni nodi strutturali che da troppo tempo frenano il nostro Paese.
Parafrasando uno slogan femminista, se non ora quando mai potremmo rimettere mano al divario infrastrutturale che divide il nostro Paese non solo fra Nord e Sud ma anche fra aree centrali e aree interne marginali.
Garantire la piena mobilità e comunicazione a tutti i cittadini italiani, a prescindere dal luogo in cui vivono e lavorano significa abbattere barriere di disuguaglianza che oggi ad esempio si frappongono fra un ragazzo che vive in certe zone di grandi città del nord e un ragazzo che vive in un borgo dell’Irpinia.
Ma realizzare strade più sicure e veloci o reti ferroviarie più efficienti o portare la fibra ovunque attraverso cospicui investimenti pubblici non vuol dire solo dare un nuovo impulso al sistema produttivo italiano, a cominciare dall’edilizia, ma significa anche consentire alle nostre imprese di avere a disposizione una rete logistica che le consenta di competere con le aziende di altri Paesi. E soprattutto significa dare a tutti noi strumenti migliori per muoverci e quindi per vivere, ma soprattutto dare ai nostri figli e ai nostri nipoti la possibilità di stare al mondo in una posizione di parità rispetto ai coetanei di altri Paesi.
E' per questo che ogni volta che ci troveremo di fronte a una scelta dovremmo sempre decidere sì per risolvere un problema di oggi ma pensando che dovrà servire a costruire una Italia nuova in una Europa nuova per le Prossime Generazioni.
A cura dell’On. Fabio Melilli.