È tempo di cambiare marcia, perché l’ortofrutta non è più solo una commodity. È il momento giusto per diventare specialità, per valorizzare le diverse varietà di prodotti e raccontare la loro storia e quella dei loro territori.
Ne parliamo con Giulio Romagnoli, Amministratore delegato dell’omonima azienda bolognese, tra i maggiori produttori di patate e cipolle in Italia.
Presidente Romagnoli, qual è il suo bilancio dei sei mesi di Expo 2015 appena concluso?
L’idea di dedicare l’Esposizione universale all’alimentazione e alla sostenibilità del mondo alimentare è stata ottima. Quello che si è realizzato all’interno dello spazio di 110 ettari è incredibile, in termini di quantità e qualità.
Una valorizzazione del cibo inaspettata e straordinaria con molte luci (ma anche qualche ombra), che ha permesso di tornare a ragionare sull’agricoltura come leva fondamentale dell’economia e, per la prima volta, metterla al centro di una comunicazione strutturata e continuativa.
Il comparto ortofrutta vive da qualche anno un calo dei consumi, anche se il 2015 ha dato segnali di ripresa importanti, soprattutto nel periodo estivo. Qual è secondo lei la chiave per rilanciare il settore?
Credo che questa chiave vada ricercata nell’innovazione. Il comparto agricolo, come tutti gli altri settori, è inserito in logiche di mercato ben definite, con consumatori che pur avendo perso la conoscenza del prodotto sono sempre più curiosi e attenti e modificano i loro comportamenti con l’andare del tempo.
Non vi è dubbio che il lungo periodo recessivo, dal quale stiamo faticosamente uscendo, ha modificato in maniera irreversibile i comportamenti d’acquisto del consumatore.
È ovvio che un produttore per rimanere al passo con i tempi deve saper interpretare e anticipare questi cambiamenti, investendo in innovazione, per garantire ai propri consumatori offerte sempre in linea con le loro aspettative e secondo gli standard più elevati: la qualità, la sicurezza alimentare e la sostenibilità, sia ambientale che sociale, non possono più essere considerati opzionali.
Passiamo al comparto pataticolo. Ormai da tempo la sua azienda è impegnata in una campagna di informazione sulle varietà delle patate.
Come nel caso di molti altri prodotti ortofrutticoli, noi ci occupiamo di un prodotto generalmente vissuto come una sorta di commodity, identificato esclusivamente in quanto patata e non in base alla varietà della stessa.
Questo è un problema culturale dovuto ad un’eccessiva banalizzazione dell’ortofrutta da parte del mercato: a livello di filiera non si è riuscito a fare lo stesso ottimo lavoro realizzato in passato con le mele, che hanno vissuto un fantastico rilancio grazie alla differenziazione delle varietà.
In Italia abbiamo alcune esperienze virtuose che hanno contribuito notevolmente sulla qualificazione della produzione pataticola. La valorizzazione del prodotto passa obbligatoriamente attraverso l’esaltazione delle caratteristiche organolettiche proprie di ogni singola varietà, portando a conoscenza del consumatore moderno le peculiarità del territorio ove le patate sono coltivate.
Tutto questo deve essere comunicato al consumatore per permettergli di comprendere appieno il reale valore della filiera agroalimentare: l’ortofrutta è il risultato di un processo in cui ogni singola tappa è fondamentale di per sé e in relazione con le altre, e quindi meritevole di attenzione. La mia azienda ha avviato una campagna per far conoscere le caratteristiche peculiari delle diverse varietà delle patate, sia nei confronti dei produttori sia nei confronti dei consumatori.
Cosa ne pensa del concetto di fare sistema? Può essere elemento importante per il futuro del comparto pataticolo?
Dipende da cosa si intende per “fare sistema”. Noi siamo per un lavoro simbiotico tra i vari livelli di produzione e commercializzazione, con una condivisione d’intenti e prospettive e con un’equa ridistribuzione della marginalità lungo l’intera filiera.
Questo modello, quasi banale, per il sistema Italia rappresenta ancora un’utopia. Questo ha portato e sta portando all’uscita dal mercato di prodotti ed areali altamente vocati.
Da sempre si è respirato il bisogno di fare sistema, ma la situazione tutta italiana è la seguente: quando finalmente un’organizzazione progetta un sistema aggregativo subito ne viene costituito uno omologo. E magari anche un terzo, con il risultato che ogni organo promuove le proprie direttive, dando vita a incomprensioni e contraddizioni.
Abbiamo bisogno di maggiore organizzazione e comunicazione tra gli strati della filiera.
In queste settimane è in discussione presso le Camere la Legge di Stabilità, che pare porti delle novità nel comparto agricolo. È auspicabile che venga posto il tema dell’organizzazione della filiera.
È chiaro che il Governo debba fare la sua parte, sostenendo le filiere e tutto il comparto a livello legislativo. Accogliamo con piacere il fatto che il Governo stia lavorando per riorganizzare le filiere produttive, dando loro sostegno e riconoscendo al settore ortofrutta un ruolo di primaria importanza per il nostro Paese.
Credo però che molto vada fatto in questa direzione. Confronto con la GDO, protezione del valore, e maggiore efficienza in tutti i livelli della filiera, sono tutti argomenti a cui il Governo dovrebbe fare attenzione.
Al settore non servono misure di sussistenza ma organizzazione, competitività, regole chiare e uguali per tutti e, soprattutto, una politica agricola nazionale che assicuri pari dignità a tutti gli attori della filiera.
A tutt’oggi la filiera pataticola è ancora la più breve se si considerano i passaggi coinvolti e, quindi, una sua razionalizzazione, porterebbe a un enorme risparmio per il consumatore.