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Riforma terzo settore, verso quale futuro?

5/12/2014

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Il percorso per la costruzione di una riforma condivisa del terzo settore è stato avviato con le linee guida lanciate dal Presidente del Consiglio, il 13 maggio scorso, insieme ad una  consultazione pubblica che ha visto rispondere  più di mille soggetti, tra i quali  più della metà erano soggetti organizzati, realtà associative, fondazioni, cooperative. 
Ecco perché credo che questa possibilità di ascolto, di confronto, possa essere la base per una riforma condivisa. 
L’obiettivo centrale della riforma deve certamente essere il miglioramento della qualità di vita delle persone che presentano forme di disagio. Tuttavia, si tratta di un obiettivo che ha bisogno di attori sul campo, di persone, di organizzazioni che poi effettivamente non lascino che una legge scritta bene resti qualcosa di astratto: è necessario che essa sia applicata nella vita di tutti i giorni, nella realtà della comunità, delle imprese, delle famiglie, delle nostre realtà territoriali.
Ed è per questo che tale riforma mi sembra possa segnare l’occasione di un cambiamento vero rispetto agli anni futuri, un’occasione da non perdere. 
Non a caso il cuore della riforma è il tentativo di cercare di uniformare e  rendere consonante tutta la nostra legislazione sulla materia, non solo quella di carattere primario, ma specialmente quella di carattere secondario: decreti, circolari, regolamenti. In molti casi sono questi ultimi  che vanno a incidere direttamente nella vita delle organizzazioni, nelle attività che si realizzano sul campo dal mondo non profit. 
All’interno di quest’opera di semplificazione, di riordino e di innovazione stanno anche quelle problematiche sul tema della “ contaminazione”, della misurazione, della possibilità di rendere conto di quanto viene fatto e prodotto dal non profit. Con il Disegno di Legge Delega il Governo chiede al Parlamento una “delega” secondo principi possibilmente chiari e univoci, per poter modificare il complesso della legislazione che ha a che fare con il mondo del terzo settore. Quindi, non si tratta  di un singolo comparto legislativo, ma di un provvedimento che rientra in un perimetro più ampio, che è quello definito nel titolo “Riforma del terzo settore, dell’impresa sociale e della disciplina del servizio civile universale”. 
L’intento della riforma è anche   mettere insieme tutti quelli che si sono iscritti a uno di questi registri eliminando le duplicazioni (cioè le organizzazioni iscritte a più di un registro), attualmente risultano più di 460.000 soggetti registrati. Presumibilmente nella realtà italiana ce ne sono molti di più, perché ci sono tante persone che si mettono insieme in un’associazione non riconosciuta, magari anche senza un’associazione, e svolgono attività e opere, come quelle  prima richiamate, per migliorare la vita dei cittadini che presentano qualche disagio. Però l’ISTAT, di questi 460.000, è riuscita a trovarne effettivamente poco più di 300.000.
Tale dato ci dice che la rete di queste realtà è un elemento portante del DNA del Paese e, dunque, il fatto che sia stata lanciata questa riforma e che costituisca un tassello delle riforme che il Governo vuole intraprendere insieme a quella istituzionale, quella del lavoro, della giustizia, della pubblica amministrazione, significa che il Governo considera questa rete del terzo settore  un elemento portante, e che il cambiamento del Paese e la capacità di rimetterlo in marcia dipende anche da ciò che accadrà in questa grande rete associativa di soggetti così variegati, così numerosi, anche così  non facilmente identificabili.
Il primo punto da focalizzare sarà quello di avere una visione più chiara rispetto alla attuale visione nebulosa per far sì che non si insinuino soggetti che poco o niente hanno a che fare con l’interesse generale. 
Sono tanti i casi  denunciati di persone che “indossano” la giacca del terzo settore ma si fanno gli affari propri, certo non sono la maggioranza, però significa che al momento le maglie molto barocche e contraddittorie del nostro sistema normativo fanno sì che questi fenomeni distorsivi possano essere un elemento che danneggia chi vuole effettivamente fare innovazione sociale nell’interesse generale.
Ecco allora che nel disegno di Legge Delega vengono utilizzati tre criteri anche per andare a ridefinire questo mondo. Il primo,  criterio classico e tipico del nostro codice, è il “senza scopo di lucro”: cioè queste organizzazioni operano senza scopo di lucro come elemento centrale. 
Secondo, viene introdotto il tema di “identificare in modo più preciso le finalità”: questo perché vogliamo che effettivamente l’interesse generale sia elemento qualificante e non lo sia solo per statuto. 
Terzo, introduciamo il tema dell’ “impatto sociale”, e cioè l’osservazione di cosa effettivamente viene generato, qual è effettivamente la ricaduta della  azione sulla comunità in cui  opera l’ organizzazione. 
È un tema non semplice, anche con riferimento agli elementi di misurazione dell’impatto come lo SROI, il social bond. Sappiamo che oggi certamente si registra qualche difficoltà a misurare in modo puntuale gli effetti sociali, cioè quel miglioramento della qualità di vita delle persone. In molti casi difficilmente è misurabile con un numero e, quando si passa dal criterio dei numeri ad altri criteri, l’aleatorietà è dietro l’angolo. Dunque dovremmo trovare delle strade per poter effettivamente distinguere il  ruolo specifico  delle organizzazioni da quello che invece non attinente alle  finalità generali.
La prima grande operazione sarà quella di definire il perimetro, individuare i criteri, e quindi selezionare, o meglio differenziare i possibili vantaggi per la collettività, dare sostanza al quel  termine “favoriscono” su cui le istituzioni pubbliche sono programmaticamente impegnate. Occorrerà differenziare i sostegni, la promozione di queste realtà organizzate, l’autonoma iniziativa dei cittadini singoli organizzati, in base all’effettivo impatto sociale e all’effettivo perseguimento dell’interesse generale, nel mantenimento del vincolo del “senza scopo di lucro”. 
Il secondo punto è che abbiamo introdotto due “turbo” alla riforma: non solo riordino, non solo semplificazione, non solo chiarificazione, non solo responsabilizzazione, non solo sostegno alle reti; ma è stata prevista anche  una norma leggera, che ritengo molto importante,  cioè quella con cui vogliamo sostenere l’aggregazione dei soggetti, quindi le reti. Ecco allora che i due “turbo” che abbiamo introdotto sono il “turbo” dell’impresa sociale e il “turbo” del Servizio Civile. Perché li chiamo così? perché in fondo rappresentano le spinte più innovative che ci sono dentro al disegno di legge. Lo è per un verso quello del Servizio Civile, perché l’intento del Governo è di giungere entro il 2017 a ingaggiare, ad arruolare potremmo dire, circa 100.000 giovani in un Servizio Civile che abbia, insieme a una valenza cruciale d’impegno civico, di servizio alla comunità, di appartenenza al proprio paese, anche un’utilità personale formativa  di percorso pre-professionale.
Questo sarà un grande vivaio, una grande seminagione di avvicinamento all’impegno volontario, di servizio alla comunità, per fare qualcosa di utile per gli altri, per la comunità, oltre che per se stessi, in una generazione nella quale non sempre sono transitati (direi piuttosto che in molti casi ci sono dei veri e propri blocchi) elementi di valore che sono parte integrante della rete del mondo associativo. Io credo che questo sia un punto importante, tanto quanto oggi si discute dell’innovazione sociale e dei social bond. 
Oggi forse si discute meno, ma secondo me un punto di criticità decisivo per il futuro è la capacità di generare, anzi di rigenerare le motivazioni, i valori all’azione volontaria, le vocazioni all’impegno civico volontario; non è un fatto scontato in una cultura che è dominata da una dimensione individualistica che tende a mettere ai bordi del campo questi valori. 
Ecco allora che, dal mio punto di vista,   premiare e sostenere quelle organizzazioni che dedicano tempo ed energia a rigenerare valori orientati all’impegno volontario, solidaristico, civico,  costituisce un elemento cruciale della riforma. Naturalmente è un compito che non possono svolgere  le istituzioni; è un compito che deriva dalla libertà dell’associarsi, dalla libertà - in base a determinate convinzioni e valori - di fare qualche cosa che vada oltre il perimetro degli  interessi privati.
L’ultimo “turbo” è quello dell’impresa sociale. Perché abbiamo voluto inserire nella riforma questo elemento? Perché crediamo che l’Italia, che è stato Paese antesignano nell’innovazione sociale attraverso la legislazione sulla cooperazione sociale del 1991, di successo anche  imprenditoriale (con il coinvolgimento di 12.000 soggetti circa), ha fatto scuola con il proprio modello  copiato  in molti altri paesi europei che hanno attinto da quella legislazione per procedere a una vera e propria innovazione dei servizi che si sono generati in risposta ai nuovi bisogni; oggi l’Italia  può salire su un treno che è partito e che spinge decisamente verso l’innovazione sociale anche attraverso l’utilizzo  di altre forme giuridiche d’impresa. 
Ecco allora che quest’operazione che è contenuta nell’articolo quattro del Disegno di Legge delega potrebbe essere la via per dare una forma, tipicamente  caratteristica del nostro paese, a un allargamento delle forme dell’impresa sociale. E per questo stiamo mettendo a punto l’idea che aveva lanciato il Presidente del Consiglio Renzi, di un “fondo” per la nascita e lo sviluppo d’imprese sociali, un po’ connotativo di garanzia, cui partecipano diversi soggetti capaci in qualche modo di generare sul territorio  piccoli fondi con variabili territoriali, e che sia soprattutto capace di mettere in rete quei soggetti bancari che già oggi hanno assunto un orientamento qualificato direttamente nella loro missione specifica, o comunque in un settore della loro attività, che possono costituire  un elemento portante per il cambiamento dell’impresa sociale.
Se riuscissimo a fare tutto questo, probabilmente lasceremmo qualche traccia che possa essere duratura; non è un’operazione di lifting della legislazione, non è un’operazione di annuncio del tipo:  “va tutto bene nel mondo del terzo settore”, perché è chiaro che il bisogno c’è e, in qualche modo, il Governo lancia anche una sfida verso le organizzazioni perché intraprendano esse stesse un cammino d’innovazione e di cambiamento. 
Ritengo che il processo di riforma, insieme all’opportunità e alla sfida che abbiamo di fronte, possa rappresentare un momento qualificante nella vita del Paese. 
Sono convinto che quest’opportunità sia reale, e che sarebbe un peccato se non riuscissimo a coglierla. Credo che, questa contaminazione fra mondi che non possono più vivere in universi separati, contrapposti, autosufficienti, come se ciascuno avesse in qualche modo la verità assoluta di fronte alla possibilità di innovare, di cambiare, di costruire opere che vadano a migliorare la vita di tutti, rappresenti anche il senso e la direzione di questa riforma che contribuisce anche a far uscire ciascuno dal proprio perimetro per trovare nelle ragioni e nei valori dell’altro un modo per cambiare se stessi.  

A cura di Luigi Bobba
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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