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Resident Evil 7: Biohazard 

15/3/2017

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Il ritorno del capostipite degli horror game: lasciate ogni speranze o voi che entrate.
Dopo gli ultimi due controversi capitoli della serie principale, di Resident Evil era solo rimasto il ricordo nostalgico e dorato di un passato irripetibile, che probabilmente non sarebbe tornato mai più. Le vecchie promesse infrante da Capcom, in pieno stato confusionale e incapace di reindirizzare la saga sui giusti binari dopo l'abbandono di Mikami, avevano dato a tutti la percezione che della saga fosse ormai rimasto solo il nome: un nome altisonante ormai sfigurato dal cambio di genere, dalla qualità altalenante delle opere e dalle presunte necessità di mercato che non sono mai davvero coincise con quelle dei fan. E invece. Invece la Capcom fa centro, e con questo nuovo capitolo ritorna alle proprie radici, ma spostando la prospettiva del giocatore in prima persona (cosa che inizialmente aveva fatto storcere il naso agli storici fan). Dimenticate Chris Redfield, Jill Valentine, Leon Kennedy e tutti gli agenti speciali conosciuti nei capitoli precedenti, perché Resident Evil 7 biohazard ci mette nei panni di Ethan Winters, un uomo comune che da ormai tre anni crede Mia, la propria moglie, morta. Siamo qualche anno dopo i fatti raccontati da Resident Evil 6, con il quale tuttavia questo nuovo capitolo non presenta nessun legame: la storia ha inizio quando Ethan riceve un video in cui Mia appare viva ma in evidente condizione di pericolo, per chiedere al marito di perdonare le proprie bugie e stare lontano da lei e da tutto il resto. Ovviamente ignora la ricerca e si lancia alla ricerca della consorte, seguendo gli indizi che lo porteranno nel bayou della Louisiana.
Senza svelare troppo si può riassumere dicendo che quella di Resident Evil 7 è una storia di follia e ossessioni, il lungo resoconto di una tortura fisica e mentale, il delirio allucinato di un contagio che non lascia scampo. La volontà di dare a Resident Evil 7 un'identità forte e decisa passa anche per la scelta di cambiare la prospettiva del giocatore, offrendogli un maggiore senso d'immedesimazione. Ebbene, sappiate che questa scelta funziona alla grande, perché grazie ai ritmi compassati, al sistema di combattimento tutt'altro che frenetico e un design dei livelli attento e metodico, la sensazione è esattamente quella di giocare a uno dei capitoli classici da un punto di vista differente. Camminare lungo corridoi silenziosi, stanze fatiscenti, tra la mobilia che pare osservarvi irrequieta e con la minaccia continua, pressante dei componenti della famiglia Baker, significa abbracciare i vecchi ricordi mentre se ne creano di nuovi. Sensazioni che vengono amplificate in maniera sensibile con l’ausilio del VR, che in questo caso mette in mostra (per la prima volta?) tutta la sua potenza per il mondo dei games. Resident Evil 7, avrete capito, è Resident Evil. Il cambio di inquadratura, che ha generato sgomento tra i fan più conservativi, fa infatti il paio con il ritorno di tutti gli elementi che hanno reso grande la prima trilogia. Inizialmente sembra quasi che il titolo abbia deciso di trasformarsi in un horror puro: giocato praticamente senza armi, nel buio, l'incipit rappresenta il momento più destabilizzante, quello in cui la paura si trasforma in angoscia e terrore. L'attacco funziona, ma c'era bisogno di altro.
Ecco perché è un piacere ritrovare, subito dopo, le pistole coi proiettili contati, l'inventario da gestire meticolosamente, le erbe verdi con cui distillare soluzioni mediche. Resident Evil 7 aggiorna insomma una formula antica ma sempre efficace, e lo fa con un rigore ed un coraggio inaspettati. È più di un ritorno: è un nuovo inizio. L'alba di un orrore che speriamo non abbia fine.

A cura di Federico Rosa
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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