Qualche temporale e le piogge che nelle ultime settimane sono scese a macchia di leopardo hanno aiutato. Soprattutto in montagna dove l’acqua ha un po’ ricominciato a scorrere a valle, utile per gli usi civici, le pratiche agricole e zootecniche che garantiscono cibo tutto l’anno. Ma il problema siccità resta. A cura di Paolo De Castro |
Le conseguenze sul piano sociale e alimentare, già avvertite a causa del conflitto tra Russia e Ucraina che ha portato al blocco di forniture di materie prime e input per l’agricoltura, riguardano un po’ tutti i Paesi dell’Unione. Ma l’Italia è quello messo peggio, con la previsione di crolli delle rese, soprattutto di cereali, e della produzione di cibo che arrecherà danni economici stimati in oltre 3 miliardi di euro. La sete d’acqua dell’Europa si aggiunge del resto a quella cronica e storica di altri continenti, dove la popolazione è in progressivo aumento. Confermando l’evidenza di un fenomeno che non è più ciclico, e che quindi diventa una priorità, come ha sottolineato recentemente la Fao al G20.
In quel contesto l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha ricordato che nel mondo si contano un miliardo di ettari di terreni agricoli soggetti a gravi vincoli idrici e 800 milioni di ettari coltivati e pascoli pluviali che sono ormai colpiti da siccità ricorrente. Da qui l’urgenza di attuare a livello globale una serie di misure che facciano leva su tecnologie e norme già esistenti per rendere più efficiente l’uso dell’acqua in agricoltura. E questo per ridurre perdite e sprechi alimentari che, secondo le stime della stessa Fao, potrebbero sfamare quasi 1,3 miliardi di persone l’anno. Grazie alla mia formazione di agronomo, cui è seguito l’impegno in politica, come ministro delle Politiche agricole ed europarlamentare, dal 2009, da quasi cinquant’anni conosco cause e concause che toccano da vicino anche le nostre aree mediterranee e l’Italia in particolare.
Un Paese forte, tra l’altro, di una fertile pianura padana che garantisce materie prime agricole usandole acque convogliate da fiumi importanti – a cominciare dal Po – ma anche da opere di ingegneria idraulica realizzate con lungimiranza e perizia per servire usi agricoli e civici. Penso ai canali Villoresi, in Lombardia, ed emiliano romagnolo, oltre che alla diga di Ridracoli, per citarne alcune. Anche nei giorni più critici del luglio scorso, quando il Po in alcuni tratti era ridotto ai minimi termini, con una bassa portanza d’acqua mai vista, il Cer-Canale emiliano romagnolo ha continuato a garantire l’erogazione necessaria per usi civici e agricoli. E questo, “pur con l’impianto in sofferenza e a ridosso della soglia di blocco”, dopo aver attinto dal principale fiume italiano tutta l’acqua da destinare al settore idropotabile. La siccità di questo 2022 si presenta a ogni modo più intensa, prolungata e diffusa – ha riferito l’Istat - come mai era accaduto fino agli anni Ottanta del secolo scorso.
A tutto ciò si aggiunge poi un altro problema. Oltre all’acqua, in agricoltura devono infatti essere utilizzati in modo più accorto i fertilizzanti, ricorrendo a una ridistribuzione tecnologica e scientifica delle applicazioni. E questo attraverso processi produttivi supportati dall’implementazione di mappe dettagliate dei suoli per aiutare i paesi più vulnerabili a utilizzare i loro concimi in modo efficiente. Il Rapporto annuale divulgato dall’Istituto di statistica evidenzia l’effetto dei cambiamenti climatici e le vulnerabilità strutturali del sistema irriguo. Ma anche gli “effetti significativi” che un eventuale razionamento nelle aree più colpite dalla siccità avrebbe prima di tutto sul settore agricolo e sull’uso civile, che assorbono rispettivamente il 50 e il 36% dei consumi idrici. Ora, ha sottolineato l’Istat, “nel quadro delle misure per la tutela del territorio e della risorsa idrica, il Piano nazionale di rilancio e resilienza destina 4,38 miliardi di euro alla gestione sostenibile delle risorse idriche lungo l’intero ciclo, con l’obiettivo di migliorare la qualità ambientale delle acque marine e interne”.
“Risorse fondamentali- ha evidenziato l’Istat per iniziare un profondo rinnovamento infrastrutturale e gestionale”. Premesso che a tutto questo, secondo noi, dovrà comunque essere affiancata una normativa europea sulle nuove biotecnologie, le cosiddette Nbt, o Tecniche di evoluzione assistita (Tea) in Italia, che sgomberi il campo una volta per tutte sulla necessità di mettere a punto e commercializzare con metodi naturali nuove varietà di piante resistenti, non solo a tante malattie, ma anche alla carenza d’acqua. Di fronte a questa opportunità epocale il Parlamento europeo, e la commissione Agricoltura in particolare che ho l’onore di rappresentare, è pronto.
Le nuove biotecnologie sono conosciute da almeno vent’anni; testate e approvate dalla comunità scientifica internazionale con le sue tecniche di Cisgenesi e Genome Editing che consentono di ottenere nuove cultivar di piante, facendo leva su modifiche genetiche all’interno della stessa specie e in tempi molto più brevi di quanto già avviene in natura da millenni. Ma per accelerare questo percorso serve una normativa chiara e semplice, che la Commissione Ue può e deve produrre in tempi altrettanto rapidi per sdoganare sul mercato queste conquiste dello studio e della ricerca. Nell’interesse e per il bene di tutti.