Il salario minimo in Italia non serve. Strano a dirsi visto il dibattito delle ultime settimane, ma vanno necessariamente fatti dei distinguo tra chi è proiettato verso le elezioni, brandendo slogan da prima repubblica, e chi invece guarda al futuro dei nostri figli e delle prossime generazioni. A cura di Tiziana Nisini |
Nonostante i lievi segnali di ripresa, serve rimboccarsi le maniche e mettere in atto misure scudo che proteggano il lavoro, la nostra capacità imprenditoriale e i nostri asset. Queste misure non si chiamano né salario minimo, né reddito di cittadinanza che annovero nella categoria: “peggio la pezza del buco”. Il salario minimo per legge non va bene perché è contro la nostra storia culturale di relazione industriali e non può essere moderato ma deve corrispondere alla produttività. La Direttiva europea (da tanti letta e da pochi capita) non impone un salario minimo legale a tutti gli Stati Membri. In Italia, peraltro, non ne avremmo comunque bisogno perché abbiamo un sistema di contrattazione collettiva talmente sviluppato che già risponde ai criteri che ci chiede l’UE.
Da noi la copertura della contrattazione collettiva, infatti, va ben oltre quell’80% che ci chiede Bruxelles. Il salario minimo è lo strumento da usare nei Paesi dove la contrattazione è limitata; dove invece è diffusa, va chiaramente rafforzata. Servono, inoltre, defiscalizzazione ed incentivi per chi assume. Se il costo del lavoro per un’azienda è alto, è necessario diminuirlo. Un modo concreto per far sì che vi siano più assunzioni è abbassare i costi che l’azienda affronta per ogni singolo dipendente. Dobbiamo però evitare l’assistenzialismo tout court. Il reddito di cittadinanza si è dimostrato un fallimento. Sussidi come questo hanno provocato, all’interno del mercato del lavoro, delle dinamiche che necessitano al più presto di correttivi.
Questo sistema non solo non ha azzerato la povertà, ma ha creato un vero e proprio corto circuito nel mondo del lavoro. È stato sì un contributo che durante la pandemia ha forse dato conforto a tante famiglie in difficoltà, ma servono delle modifiche. Il reddito di cittadinanza in alcuni, e non isolati, casi si è rivelato un vero e proprio sperpero di risorse pubbliche. Nei prossimi mesi ci aspetta un altro importante compito che è quello di raccogliere l’allarme lanciato da imprese e associazioni di categoria: intervenire presto e maggiormente anche sul recupero della forza lavoro, sul personale che esse non riescono a reperire.
Crediamo che incentivando la formazione di dipendenti specializzati e nuove figure in grado di dare maggiori garanzie per la sicurezza nei posti di lavoro, si possa cambiare completamente il paradigma degli ultimi anni. Vanno, infatti, create le condizioni migliori per trovare la spinta propositiva che acceleri il nostro processo di sviluppo e una riforma che permetta a tanti dipendenti di uscire dal mondo del lavoro ad una età idonea e ragionevole.