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Progettare e costruire il domani

11/12/2014

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Negli ultimi cinquant’anni le città hanno subito molte trasformazioni, alcuni miglioramenti, ma soprattutto una marcata e ormai vistosa compromissione delle condizioni ambientali generali. La quantità delle abitazioni è aumentata e tutto ciò ha fatto progressivamente deteriorare la qualità dell’aria, in ambito urbano.
“Abitando” sono molti i momenti in cui si producono immissioni di sostanze nocive in aria-acquasuolo, anche se il più delle volte l’inquinamento derivato dall’edilizia e dalle costruzioni non è così ovvio. Se le polveri respirabili sono visibili, o se salgono i decibel l’impatto è in chiaro ma dopo la fase cantieristica, è proprio il periodo successivo - dall’inaugurazione alla dismissione della casa - a rivelarsi foriero di problematiche collegate all’salubrità dei luoghi.
All’interno degli spazi confinati le fonti di emissione sono molte: dai materiali edili agli arredi, dalle finiture agli impianti e i loro livelli di rilascio possono essere molto più alti rispetto alla concentrazione esterna, facendo registrate picchi con valori anche centinaia o migliaia di volte più elevati.
Un edificio o un’infrastruttura (se giustamente fatti per conservarsi a uso di più generazioni, com’era consuetudine un tempo) vantano una lunghezza di vita utile maggiore a qualsiasi altro prodotto industriale. Abbiamo esempi di buone costruzioni sia attuali che nei centenari se non millenari edifici e ponti disseminati sull’italico suolo. Per questo motivo un edificio con problematiche può essere origine di conseguenze devastanti anche a decine di anni di distanza.
Pensare che da una semplice idea iniziale disegnata a matita si possa passare alla realizzazione di un immobile e quindi condizionare direttamente una porzione più o meno estesa di territorio - magari per centinaia di anni - è un concetto di una responsabilità tale da non far dormire la notte.
Ma è anche uno stimolo per progettare sempre meglio, con coscienza lungimirante, tenendo conto delle implicazioni invisibili della nostra pianificazione costruttiva.
L’accettazione della necessità, sempre più impellente, di rendere meno impattante e invasiva la mano dell’uomo verso l’ambiente ci porta responsabilmente all’adozione di canoni e tecniche costruttive per così dire dolci. Tali regole vanno apprese e comprese, prima di essere proposte ai committenti, pubblici o privati che siano.
Osservando l’attuale situazione territoriale e comprendendo la potenza di moltiplicazione di ogni singolo impatto, è da riconsiderare il fare architettura, collegando l’atto costruttivo che ne consegue sempre più al luogo, alla natura, al tessuto sociale-culturale-edilizio circostante. Il nuovo umanesimo in architettura prevede case eco friendly, tanto che nel nostro lessico quotidiano sono
già entrati termini come architettura ecologica, bioedilizia, bioclimatica, bioarchitettura, edilizia sostenibile, ecc. Spesso tali vocaboli sono usati in modo non coerente dai tecnici del settore, e magari solo come furba e accattivante scorciatoia per far breccia nella coscienza sensibile dei fruitori finali.
Per fare un po’ di chiarezza: è nella Germania dell’ovest degli anni 60 che nasce la Baubiologie, un’architettura naturale e radicale, priva di anacronismo e di nostalgia verso il passato, ma anzi, concentrata verso il futuro. La traduzione italiana di tale termine si è concretizzata con la Bioarchitettura, contenente al suo interno attenzioni sia verso i materiali sia verso l’impiantistica, capace di creare armonia con l’uomo e l’ambiente, senza predominanze dell’uno sull’altro, coinvolgendo tradizioni, codici e linguaggi del luogo.
Tale filosofia opera un allontanamento dal funzionalismo (dove la casa è vista come una macchina per abitare appoggiata a una superficie indifferente), ma anche dal formalismo della spettacolarizzazione autoreferenziale dell’edificio. Ciò che ne deriva è una costruzione attuale, ma consapevole, in grado di far abitare confortevolmente l’uomo, a basso impatto ambientale, senza ingerenze con il territorio naturale circostante.
L’adozione sempre più massiccia delle indicazioni della Bioarchitettura può aiutare a rendere il settore delle costruzioni (sempre) meno impattante sul contesto. Ovviamente si tratta di un percorso non immediato, ma multidisciplinare (olistico) e ciò che ne risulterà, casa o edificio che sia, non sarà solamente la somma perfetta di tutti gli elementi tra di loro assemblati, ma un organismo capace di andare a relazionarsi con il tutto circostante, presente e futuro.
Si tratta di un cammino che ridà importanza al “giusto tempo necessario”, che mette in essere scelte ponderate e responsabili, dove tutte le figure coinvolte (dal posatore al fruitore finale) hanno a disposizione informazioni certe su probabili o presunte pericolosità collegate al manufatto edile, sviluppabili nell’eccezionalità (come in caso d’incendio) o nella quotidianità (con iterate emissioni tossiche) o durante la dismissione (parziale o totale).
Rispetto a qualche anno fa di architettura naturale si parla di più, ma in modo, diciamo così, settoriale, confondendola magari con la ricerca spasmodica di efficienza energetica, in grado di creare case da utilizzarsi solo con il libretto delle istruzioni. Case che non si possono vivere spontaneamente, costruite senza tener conto del lungo stazionamento al loro interno delle emissioni derivanti dai materiali adottati, in grado di abbassare il livello della qualità della vita.
La casa è una necessità irrinunciabile. In un ambiente confinato (casa-scuola-posto di lavoromezzo di trasporto) trascorriamo ormai più del 90% della nostra esistenza, ed è certo che ciò che succede all’interno delle abitazioni, ricopre un ruolo molto importante per la nostra salute e per il nostro futuro.

A cura di Francesca Landriani
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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