Anche se alcuni di questi parametri sono ormai modificabili in fase di post-produzione grazie a sofisticati software, prosegue ancora oggi la fortuna dei filtri.
D’altronde, un vero fotografo preferisce stare sul campo in cerca dello scatto “perfetto”, provando e riprovando con uno o più filtri in base alle condizioni di luce, piuttosto che scattare rapidamente per poi elaborare le fotografie davanti ad un PC.
Senza contare che alcuni effetti ottenibili con il ricorso ai filtri ottici non possono essere riprodotti in fase di editing fotografico.
Uno dei filtri più comuni è il polarizzatore, imprescindibile nella fotografia di paesaggio e con molte utili applicazioni in altri generi fotografici.
Si tratta di un filtro di forma circolare (ma ne esistono anche a lastra) che si avvita sulla filettatura frontale dell’obiettivo. È essenziale che sia dell’esatto diametro dell’obiettivo su cui intendiamo montarlo, per cui, se abbiamo focali con diametri differenti, dovremo avere più polarizzatori, uno per obiettivo.
Il polarizzatore è costituito da due lenti con colorazione lievemente grigia, una fissa e una libera di ruotare per regolare l’intensità della polarizzazione.
A cosa serve il polarizzatore? Riduce la quantità di luce riflessa che entra nell’obiettivo e viene registrata dal sensore della fotocamera, con la conseguenza di ottenere immagini più sature e contrastate.
Pensiamo alle superfici che riflettono la luce, come l’acqua e il vetro (superfici lisce), le foglie e la nostra pelle (superfici cerose), ma anche la sabbia e la roccia (superfici dure). Questa luce rimbalza e si spande nella scena con direzioni diverse; al momento di scattare fotografie, l’obiettivo la incamera globalmente e le nostre immagini risultano come sbiadite, spente, velate da una leggera foschia.
Che cosa fa il filtro polarizzatore? Annulla tutti i riflessi prodotti in una certa direzione. Una volta montato sull’obiettivo, ne ruotiamo la ghiera per gestire i riflessi di luce che giungono in una direzione piuttosto che in un’altra, variando di volta in volta l’effetto della polarizzazione fino ad ottenere quello che più ci soddisfa.
Così facendo, il polarizzatore ci consente di scattare fotografie con un maggior contrasto, con colori più saturi e con minori riflessi sulle superfici lucide.
Ad esempio, il verde della vegetazione si fa più intenso e il blu del cielo più profondo. Le nuvole acquistano tridimensionalità, arricchendosi di dettagli e contrasti.
Se inquadriamo uno specchio d’acqua limpida, come un lago alpino o una piscina naturale, con il corretto utilizzo di un polarizzatore possiamo arrivare a “bucarne” la superficie per far trasparire il fondo… il risultato è di sicuro impatto!
Inoltre, se stiamo fotografando un paesaggio, il polarizzatore migliora l’esposizione della scena, perché tende a scurire un cielo che altrimenti risulterebbe “smorto” (per intenderci, il classico azzurrino tendente al grigio, contro un paesaggio terrestre ben più scuro). Ne deriva una più omogenea luminosità complessiva tra elementi di terra e cielo.
Come possiamo ottimizzare l’uso del polarizzatore? L’effetto polarizzante è massimo quando la scena che inquadriamo è illuminata lateralmente, in particolare se fotografiamo ponendoci a 90 gradi rispetto alla direzione della sorgente luminosa. L’effetto si riduce molto quando fotografiamo con la luce alle spalle o in controluce.
Il polarizzatore va sempre utilizzato? No, non sempre.
È buona norma utilizzarlo nelle giornate di sole, quando il vapore acqueo presente nell’atmosfera agisce sulla luce diffondendone i riflessi in tutte le direzioni.
Non ha, invece, particolari effetti in caso di cielo coperto, a meno che non ci siano nuvole scure e minacciose, di cui vogliamo far risaltare la drammaticità.
Non dimentichiamo, poi, che il polarizzatore ha alcune controindicazioni.
In primo luogo, i due vetri del filtro vanno a sommarsi al gruppo di lenti interne all’obiettivo, aumentando il rischio di flare, che rende le immagini poco contrastate e nitide, con presenza di “macchie” luminose.
Inoltre, il polarizzatore è costituito da lenti grigio-chiaro che riducono la luminosità della scena di circa due stop. Impone dunque tempi di posa più lunghi, con possibile effetto mosso indesiderato, o valori ISO più alti, con “rumore” complessivo più gravoso.
Infine, se utilizziamo obiettivi ultra-grandangolari, capaci di inquadrare vaste porzioni di spazio, l’effetto della polarizzazione può variare molto da un lato all’altro della scena. Il rischio è che, all’interno della medesima inquadratura, via sia una scarsa omogeneità nei colori, più saturi da una parte che dall’altra.
Concludiamo ricordando che il filtro polarizzatore, indispensabile nella fotografia paesaggistica, si rivela molto efficace anche in altre applicazioni, per eliminare la cosiddetta “luce parassita”. Qualche esempio?
È utilissimo per ridurre al minimo i riflessi sui vetri o sulla carrozzeria lucida delle automobili, per fotografare attraverso le vetrine di un locale o le bacheche dei musei. O ancora, per limitare il fastidioso effetto lucido sulla pelle, se siamo alle prese con un ritratto. Provare per credere!
A cura di Francesca Vinai