Ora, anche dando per vera l’affermazione, con cui non concordo, che ci sia di fondo solo una questione di principio, a maggior ragione merita di essere portata avanti la censura di un provvedimento del nostro patrimonio legislativo che si è risolto in una “truffa legalizzata”.
È con la mentalità del “ma è solo una questione di principio” che un Paese dimentica di far valere la legalità e i valori più profondi di uno Stato di diritto, per garantire la buona politica e le giuste leggi. Mi spiego meglio.
Da quando sono entrato nelle istituzioni, come componente della commissione lavoro mi sono battuto per garantire il diritto alla pensione e salvaguardare i più colpiti dagli effetti distorsivi della Riforma Fornero. Ciò nella consapevolezza che gli italiani di oggi e le future generazioni sono ingiustamente condannati ad assegni previdenziali insufficienti, che ricevono a un’età troppo avanzata. Le cause che hanno determinato questo scenario sono molteplici.
Ma non può essere sottovalutato che la mortificazione dei diritti pensionistici che lamentiamo oggi dipende anche dall’eredità che ci ha lasciato la classe politica del passato, che ha abusato di risorse pubbliche per attribuire ingiusti privilegi previdenziali, aggravando e compromettendo il bilancio dell’Inps.
Ecco, il simbolo di questo abuso trova la sua rappresentazione più evidente proprio nella legge Mosca approvata nel 1974 e prorogata più volte, fino al marzo del 1980.
Questo provvedimento ha notoriamente permesso l’attribuzione di assegni pensionistici con un regime contributivo agevolato a chi doveva riscattare anni di lavoro in nero (si, lavoro in nero) alle dipendenze di partiti politici e sindacati, patronati e associazioni del movimento cooperativo.
In sostanza, la legge Mosca è stata oggetto di molti abusi a causa degli inadeguati criteri previsti per accedere al trattamento previdenziale. Era infatti stabilito come requisito sufficiente per l’attribuzione dei contributi, la semplice dichiarazione del rappresentante del partito o del sindacato, per attestare l’avvenuta prestazione lavorativa. È così che si è trasformata per molti in uno “strumento” utile per ottenere anni di "falsa" attività lavorativa.
Il ricorso improprio a questa legge è sfociato in un grosso numero di procedimenti giudiziari che hanno coinvolto un centinaio di procure della Repubblica. Il caso più clamoroso è il processo contro 111 lavoratori fittizi di PCI, DC, CISL e Lega Coop, accusati di aver ottenuto la pensione garantita dalla legge Mosca senza aver mai lavorato.
Lo stesso “padre” di questa legge, il parlamentare Giovanni Mosca, ha riconosciuto il fallimento di un provvedimento che, secondo le sue previsioni, era rivolto ad una platea di non più di 10.000 persone. Al contrario, ne hanno realmente beneficiato circa 35.564 persone, con un costo per l’erario dello Stato che ha superato i 12,5 miliardi di euro.
Adesso, è in esame in commissione lavoro alla Camera la mia proposta di legge per abrogare questo “scempio” giuridico. Tuttavia, l’iter è in stallo e sta incontrando non poche difficoltà per andare a buon fine.
Ciò anche perché alcuni parlamentari hanno espresso scetticismo sull’abrogare una legge solo perché è stata oggetto di abusi. Mi permetto di rilevare la pochezza di questa argomentazione. È vero che tutte le leggi possono essere oggetto di raggiri, per ottenere illecitamente il vantaggio che attribuiscono, dichiarando il falso, ad esempio, e non per questo se ne chiede senza mezzi termini l’abrogazione.
Quando, però, gli abusi raggiungono un numero considerevole come nel caso della legge Mosca e determinano un grave danno per le casse dello Stato, il problema va imputato ad un fallimentare impianto normativo scelto dal legislatore, che ha permesso inverosimili margini di discrezionalità.
Di fronte all’impatto che ha avuto la legge Mosca non possiamo che censurare esplicitamente questo provvedimento e pretenderne l’abrogazione, anche per far valere il principio, non da poco, che leggi con criteri così raggirabili non possono essere approvate dal legislatore.
In sostanza, gli effetti della legge Mosca dimostrano che si è trattato di un provvedimento disastroso da un punto di vista giuridico a causa della qualità delle norme. E questo era prevedibile visto che l’intento del provvedimento era quello di far riscattare anni di lavoro a persone che avevano lavorato in nero per partiti politici e sindacati, ossia attività lavorativa difficilmente documentabile che, ha dato oltremodo spazio alla discrezionalità per il riconoscimento dei benefici previdenziali. È quindi insensato non consentire l’abrogazione di questa legge solo perché ad oggi non ha più effetti e quindi si presume che non possa più determinare danni.
La questione centrale è proprio che i danni li ha già prodotti, anche attraverso delle proroghe che ne hanno esteso nel tempo gli effetti. Va quindi censurata in modo chiaro ed esplicito.
Tanti hanno scritto sulla legge Mosca per denunciare il modo fraudolento con cui furono elargiti benefici contributivi per assegni pensionistici, molti dei quali ancora paghiamo. Credo però che pochi hanno compreso la reale portata di quel danno. Difatti, ancora oggi ci sono politici e sindacalisti che non sono d’accordo con la sua abrogazione.
A cura dell’On. Walter Rizzetto.