Non basta più una spolverata di ‘green’ su alcuni provvedimenti. E il rapporto tra ecologia ed economia deve diventare il nuovo pilastro delle politiche di sistema del nostro Paese.
Gli ambientalisti, infatti, hanno avuto un grande merito: quello di porre al centro dell’attenzione, negli scorsi anni, battaglie e priorità che in precedenza venivano considerate di “nicchia”, appannaggio di piccoli gruppi, quasi di un’elite.
L’aver compreso, senza cadere in integralismi o miopie politiche, che il paradigma ambientale coinvolge una complessità, e non solo un settore, ha rappresentato un grande passo in avanti. Ma ora la grande sfida deve essere, necessariamente, quella di andare oltre la “presa di coscienza” collettiva. Altrimenti quanto fatto fino ad ora rimarrà limitato ad un percorso lastricato di buone intenzioni.
Innervare le azioni di governo coniugando economia ed ecologia, ribadendo la necessità di superare la vecchia concezione del Pil con un più evoluto “Prodotto interno lordo verde”, che collega l’indice di crescita economica con le conseguenze ambientali, è la vera sfida del futuro.
La differenza non sta solo nelle sigle utilizzate, ma nei numeri che ad esse sottendono. A partire dalle eccezionali prospettive per l’occupazione “green”. I posti di lavoro destinati alle professioni legate all’economia circolare stimati da Unioncamere-Anpal a febbraio 2020, nell’Italia pre-Covid, erano oltre 1 milione e 600 mila.
Dall’indagine sui green jobs nell’ambito dell’economia circolare, condotta da Legambiente e Green Factor nell’ambito del progetto Economie Circolari di Comunità per la rigenerazione ambientale (ECCO), che punta a comprendere come le professioni green legate all’economia circolare possano svilupparsi nel prossimo futuro, emerge una tendenza molto promettente. Nel 2019, il 78,8% delle imprese italiane ha richiesto competenze green non solo a chi possiede un titolo universitario (83,1%), ma anche a neodiplomati (78,1%) e a chi si affaccia al mondo del lavoro subito dopo le scuole dell’obbligo (79,8%). Tendenza che viene globalmente e autorevolmente confermata da uno studio dell’Università di Oxford che ha coinvolto ben 231 esperti di banche centrali, ministeri delle Finanze, accademici e think tank di tutto il mondo.
A guidarlo, il professor Cameron Hepburn, il premio Nobel Joseph Stiglitz e Nicholas Stern della London School of Economics. Il risultato?
“L’energia pulita crea 3 volte più occupati dei fossili. Ogni milione investito nell’energia pulita crea il triplo dei posti di lavoro rispetto allo stesso ammontare speso nei combustibili fossili”. E, inoltre, “le infrastrutture connesse a fonti rinnovabili come eolico e solare sono più ‘resistenti’ agli effetti perversi della globalizzazione, come le delocalizzazioni. Ecco perché per risollevare le economie colpite dal Covid-19 occorre puntare sulle politiche ‘green’”.
È quindi necessario lavorare su un doppio piano: affrontare le emergenze dell’oggi e prevenire quelle del domani, radicando un processo di innovazione legato a fil doppio a una convincente ed effettiva transizione in chiave ambientale del nostro sistema industriale, allo sviluppo verde per creare lavoro di qualità, alla piena attuazione dell’economia circolare, alla sfida della “quarta rivoluzione industriale”: digitalizzazione, robotizzazione, intelligenza artificiale.
L’impegno è quello per una ‘visione’ di futuro che consideri centrale la reinterpretazione del mondo in chiave ecologica. Non si tratta di un’opzione o, peggio, di un mero slogan. Siamo di fronte all’unica scelta possibile, in grado di costruire il nostro futuro: la simbiosi tra ecologia ed economia.
Due parole che, peraltro, non a caso mostrano una radice comune: -eco (oikos), che significa “casa”. Una radice comune che, dunque, esclude in sé ogni ipotesi (o tentativo) di porre in contrapposizione questi due aspetti che, anzi, nascono integrati. Una sintesi preziosa che non deve essere il frutto di un mero compromesso al ribasso, ma che deve porsi l’obiettivo alto di contribuire al miglioramento del benessere e dell’equità sociale. Non costruire un Paese, un’Europa, un mondo che vada in questa direzione sarebbe, a dir poco, esiziale.
Realizzare il potenziale non sfruttato delle attuali politiche ambientali; adottare la sostenibilità come quadro di riferimento per l’elaborazione delle politiche; mettersi alla guida dell’azione internazionale verso la sostenibilità; promuovere l’innovazione nella società; aumentare gli investimenti e riorientare il settore finanziario per supportare progetti e imprese sostenibili; gestire i rischi e garantire una transizione socialmente equa; creare più conoscenze e competenze.
Ecco le priorità assolute sulle quali fondare una politica economica, sociale, culturale in grado di costruire il Paese del futuro. Sono queste le grandi sfide che devono ispirare un’azione politica che guardi al futuro, imparando dagli errori del passato.
Una visione comune che, dunque, dovrà sottendere a tutte le nostre scelte: degradare le priorità ambientali ad un settore di attività senza osmosi con gli altri, quasi fosse un orpello della politica, sarebbe un errore gravissimo. È, al contrario, un’idea di Paese a lungo termine quello che deve ispirare i progetti, le azioni, i provvedimenti.
Dobbiamo lavorare tutti per rendere più vivibile questa “casa”, senza mai dimenticare che è l’unica che abbiamo e che le condizioni in cui la consegneremo, domani, ai nostri figli saranno il frutto delle scelte che decideremo di intraprendere, oggi.
A cura dell’On. Alessandro Amitrano.