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PAC 2021-2027: è tempo di revisione

9/8/2019

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Oltre alla tutela del reddito delle imprese agricole, la PAC si occupa di integrità dei territori e tutela dell’ambiente. 
La Politica agricola comune (Pac), che rappresenta il principale capitolo del bilancio europeo con un budget di oltre 52 miliardi l’anno (circa il 37% del totale) di cui quasi 7 destinati all’Italia, è un bene comune che andrà preservato nel tempo. A beneficio non solo dei 10 milioni di agricoltori in attività, ma di tutti i circa 500 milioni di cittadini dell’Unione. A questo mi capita di pensare quando viaggio, osservando il paesaggio da un’auto in movimento, dal finestrino di un treno o dall’oblò di un aereo.

​Sì, perché la Pac non è solo l’impianto normativo, l’insieme di regole destinato a garantire un giusto reddito alle aziende agricole, con le loro famiglie e i circa 44 milioni di lavoratori occupati nel settore, ma anche una carta di credito per la futura integrità dei territori e la tutela dell’ambiente.

Un’ipoteca sul futuro delle nostre produzioni di qualità e la salute dei consumatori. Per questo la partita della riforma di questa politica, per il periodo 2021-2027, andrà giocata a tutto campo, facendo tesoro delle competenze e dell'esperienza che abbiamo maturato negli anni. Dentro le istituzioni italiane e quelle europee.

Il percorso di questa revisione sarà lungo e pieno di insidie. I tre testi legislativi per la futura Pac presentati l’anno scorso dall’attuale commissario all’Agricoltura, Phil Hogan, sono di fatto ancora in alto mare. Il Parlamento, di cui ho l’onore di far parte anche in questa IX legislatura come rappresentante dell’Italia, dovrà riprenderli in esame e valutarne attentamente tutti gli aspetti.

Con i nuovi schieramenti politici all'interno dell'emiciclo – peraltro non molto diversi da quelli passati, visto che popolari del Ppe, S&D e liberali rappresentano ancora oltre il 60% dei deputati – con il Consiglio e il prossimo commissario all'Agricoltura che sarà nominato a breve.

La riforma è orientata in ogni caso a una generale semplificazione e flessibilità delle procedure per accedere ai finanziamenti, mantenendo possibilmente l’attuale budget. Da parte nostra ci sarà la massima collaborazione per affrontare un percorso di riforma della Politica comune che eviti però rischi di rinazionalizzazione, che intravediamo invece nella proposta Hogan.

Il lavoro da fare è davvero imponente e non credo comunque si possa arrivare a un accordo per l’entrata in vigore della nuova Pac nel 2021. Ritengo verosimile servirà un altro anno, il che significa che con un regolamento ponte dovranno essere estese le attuali regole per almeno altri due anni, dando certezze e garanzie di continuità anche agli agricoltori italiani.

Intanto, in commissione Agricoltura, anche nel mio ruolo di negoziatore del bilancio 2020 continuerò a lavorare con i colleghi per migliorare la futura Pac, difendendone le risorse in funzione del prossimo quadro finanziario che andrà definito entro la fine dell’anno. Anche se questo sarà condizionato dall’esito della Brexit perché l'uscita del Regno Unito dall'Ue comporterebbe un buco nelle casse comunitarie di circa 12 miliardi l'anno che in qualche modo andrebbe colmato.

Certo, a questo punto molto dipenderà dalle modalità del divorzio - con o senza un accordo doganale - su cui potremo ragionare in autunno alla luce del nuovo governo di Londra.

Ciò che il Parlamento cercherà di fare, come accennato, sarà mantenere un plafond il più possibile in linea con quello riservato per il periodo 2013-2020. Ma non sarà facile. L'uscita dall'Ue del Regno Unito comporterà infatti un assestamento finanziario, con un'equa redistribuzione delle risorse tra i 27 Paesi che resteranno.

Tutto questo senza dimenticare che il Regno Unito rappresenta il quarto mercato di destinazione per i prodotti agroalimentari italiani, con vendite che si aggirano sui 3,4 miliardi di euro l'anno. La speranza dunque per l'Italia, ma anche per il Regno Unito, è che si trovi presto un accordo per mantenere un'unione doganale tra le due sponde della Manica anche dopo il definitivo divorzio dall'Ue, scongiurando il rischio di dazi o altre forme penalizzanti per imprese e consumatori.

In questo quadro, assume un particolare rilievo anche il tema della protezione e della promozione dei nostri prodotti agroalimentari, che andrà sostenuto a tutti i livelli, partendo da un rafforzamento del mercato unico e della fiducia dei consumatori. Per questo dovremo lavorare per un'ambiziosa agenda commerciale per ridurre gli ostacoli e creare nuove opportunità per le esportazioni, sia a livello multilaterale, che bilaterale.

Il protezionismo su cui fa leva soprattutto la politica Usa non aiuta. L’anno scorso l’Unione europea ha dovuto fare i conti con 425 misure imposte da 59 Paesi diversi, con un costo per miliardi di euro.

A tutto ciò si aggiungono ora le preoccupazioni per la possibile applicazione dell’accordo politico raggiunto con i Paesi Mercosur, di cui peraltro il Parlamento europeo non ha ancora visionato i testi. Il negoziato, durato una ventina d’anni, sarebbe finalizzato al libero scambio con i Paesi del Sud America, ma creerebbe ulteriori problemi alle produzioni di qualità e alle denominazioni d’origine europee e italiane.     

Tra gli altri fronti sui quali lavorerò nei prossimi anni al Parlamento europeo – e anche qui nell’ottica di una crescita del sistema agroalimentare e della tutela dei cittadini – c'è anche l’obbligo di etichettatura d’origine per gli alimenti. Una battaglia di tutto il sistema agroalimentare italiano, ma anche un diritto dei consumatori di essere informati correttamente sulle proprietà nutrizionali dei prodotti.

Anche per questo le etichette cosiddette ‘a semaforo’ introdotte dalla Gran Bretagna, che prevedono una classificazione fuorviante e generica dei prodotti in base ai colori giallo, rosso e verde, vanno contrastate in tutti i modi, perché oltre a screditare i prodotti di eccellenza tipici del made in Italy ledono il diritto dei consumatori di scegliere in modo consapevole.

Ultima, ma non per importanza, la frontiera dell’innovazione e della ricerca. Le nuove biotecnologie (Nbt) come Cisgenetica e Genome editing, sulle quali anche i ricercatori italiani sono impegnati da anni con risultati positivi sorprendenti, rappresentano uno strumento ineludibile per fare fronte alle sfide del Pianeta, dal contrasto alla fame nel mondo, alla lotta a vecchie e nuove malattie che colpiscono con sempre maggiore frequenza anche l’agricoltura europea.

Tutto questo però andrà spiegato e regolamentato su basi scientifiche, anche per stabilire una volta per tutte la differenza tra le Nbt e le tecniche di produzione di Organismi geneticamente modificati (Ogm), che prevedono trasferimento di Dna tra specie diverse. Premesso che l’Italia, insieme ad altri 16 Paesi europei, ha già deciso da anni di bandire gli Ogm.

A cura dell’On. Paolo De Castro.
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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