Dopo l’olio tunisino, le fragole egiziane, i pomodori marocchini e il riso cambogiano, adesso è il turno delle arance sudafricane. Ma la nostra agricoltura non può essere sempre quella sacrificata sull’altare degli scambi internazionali.
Nel primo trimestre del 2016 le importazioni dall’estero di riso sono cresciute del 74%, mentre il 20% del miele arriva dalla Cina, dove è consentito l’uso del polline Ogm. Tre forme su quattro di pecorino (cioè il 78%) giunge in Italia dall’Europa dell’Est, in particolare dalla Repubblica Ceca e dalla Romania, con regole di importazione Ue che secondo la Coldiretti lasciano troppo spazio alle imitazioni (negli USA sette pecorini di tipo italiano su dieci sono "tarocchi" nonostante il nome richiami esplicitamente al Made in Italy). Recentemente gli agricoltori veneti hanno denunciato che il mais italiano, sottoposto a rigorosi controlli, è quotato circa 16 euro al quintale, mentre il mais che arriva da oltre confine, l’ibrido estero “alla rinfusa”, viene pagato in media più di 18 euro al quintale con punte di 19 euro.
Tornando alle arance, l’Italia ha una produzione agrumicola di circa 150.000 ettari, concentrata in particolare nel Sud Italia, in Sicilia e in Sardegna, con oltre 80.000 imprese e circa 3 milioni di tonnellate di prodotto l’anno, per un valore produttivo di 1,2 miliardi di euro pari al 2,4% del valore della produzione agricola nazionale. In Europa gli ettari coltivati sono oltre 500.000 con 10 milioni di tonnellate di prodotto.
Ad oggi è concesso il libero accesso delle arance sudafricane in tutto il territorio nazionale, dal primo giugno al 15 ottobre. Con l'introduzione della nuova intesa l’ingresso verrebbe dilatato fino al 30 novembre, con una progressiva riduzione della tassazione, fino a completa abolizione nel 2025.
Il Made in Italy però si protegge anche impedendo di essere sommersi da prodotti stranieri che entrano a dazio zero e senza le dovute garanzie sanitarie. La cooperazione a sostegno delle popolazioni è importante. Ma non può realizzarsi penalizzandone altre e mettendo in ginocchio i nostri agricoltori.
A cura di Alberto Cirio