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Omicidio stradale: arma già spuntata? Parte 2

13/9/2021

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Continua la disamina sull’omicidio stradale, nella quale vedremo se l’inasprimento delle pene ha portato ai risultati che si attendevano.  
Nell’articolo precedente, dopo aver approfondito il percorso che ha portato all’introduzione dell’Omicidio Stradale, ci sia chiesti se, nel complesso, i risultati che si attendevano sono stati raggiunti: la risposta è no. La prima domanda che dobbiamo porci è se la legge 41/2016 doveva avere un prioritario effetto dissuasivo o solo quello più congeniale di rendere finalmente giustizia alle vittime e ai loro familiari. Andiamo con ordine. Dal 2016 al 2018 i dati Istat della sinistrosità stradale disegnano una sorta di gioco dell’oca con regressi e aumenti della mortalità alternati. 

Nel 2016, con 9 mesi di vigenza effettiva della legge 41, i morti sulle strade sono stati 3.283 con una diminuzione di 145 decessi e un segno meno del 4,2% rispetto al 2015. Nel 2017, invece, abbiamo assistito ad un preoccupante testa coda con 3.378 vittime mortali e un incremento di 95 lenzuoli bianchi stesi sulle strade pari a un +2,9%. Poi arrivano i dati del 2018, con una nuova lieve e positiva inversione di marcia, 3.325 le vittime, 53 in meno e un calo dell’1,6%. Dati disarmonici anche nel numero dei feriti. 

Nel 2019, ci dice l’Istat, sono stati 172.183 gli incidenti stradali con lesioni a persone in Italia, in lieve calo rispetto al 2018 (-0,2%), con 3.173 vittime (morti entro 30 giorni dall’evento) e 241.384 feriti (-0,6%). 

Il numero dei morti diminuisce rispetto al 2018 (-161, pari a -4,8%), per il secondo anno consecutivo dopo l’aumento registrato nel 2017, e si attesta sul livello minimo mai raggiunto nell’ultima decade. 

Cosa se ne ricava? Che la legge non è stata poi così fortemente dissuasiva? Forse anche perché ancora molti conducenti non conoscevano e non conoscono le gravi conseguenze che possono seguire ai loro comportamenti. Perché dico che i contenuti della legge forse non sono sufficientemente conosciuti? 

Quando ho occasione di confrontarmi anche con persone che si occupano di sicurezza o sono impegnate nell’autotrasporto, intravedo molta incertezza. Dopo un anno e mezzo dall’approvazione mi è capitato di parlare in un’aula universitaria a parecchie decine di studenti di Giurisprudenza, e, con una certa sorpresa, mi sono reso conto che la grande maggioranza non conosceva ancora le pene previste dalla legge 41/2016. E questo spiega già molto. 

Ma sull’altro versante, quello che secondo il mio parere era il vero obiettivo, cioè le condanne congrue e adeguate a chi uccide in conseguenza di ubriachezza, assunzione di droghe e comportamenti assurdamente rischiosi (velocità, sorpassi in curva, ecc.) l’obiettivo è stato centrato? La risposta è difficile. 

Nella prima fase, diciamo relativamente al 2016 e parte del 2017, abbiamo visto finalmente pene severe che, in qualche caso (in primo grado), arrivavano a 8 anni e qualche volta hanno toccato e superato i 10 anni di reclusione. 

Insomma, sembrava proprio che le vittime e i loro familiari avessero finalmente una giustizia più adeguata senza quelle sentenze “scandalose” che per un paio di persone travolte e uccise sulla strada o un bambino travolto da un ubriaco sulle strisce (come il piccolo Jonathan nel 2014 a Ravenna) si fermavano sempre intorno ai due anni e 8 mesi e a volte anche meno. Poi? Poi, nel tempo a seguire, fine 2017 e 2018, e anche nel 2019 e 2020, abbiamo visto che le pene inflitte nei casi di omicidio stradale anche più gravi, hanno cominciato di nuovo ad abbassarsi, sfiorando o addirittura ricalcando, in diversi episodi tragici, le stesse pene antecedenti all’invocata Legge 41. 

Ricordo qui per tutti il caso dell’omicidio di Alina Marchetta, la ragazza di 26 anni travolta e uccisa, nell’aprile 2019 mentre era sul marciapiede, da una vettura condotta da una ragazza coetanea ubriaca e alla guida alle 10.00 di una domenica mattina. Condannata in primo grado 3 anni e sei mesi. 

Cos’è accaduto? Per una risposta servono più adeguati esperti giuridici. Probabilmente le tecniche difensive degli avvocati si sono affinate e, spesso, si ricorre a quella specie di cavallo di Troia contenuto nella legge sull’Omicidio stradale, che prevede nei casi di non esclusiva responsabilità dei conducenti lo sconto delle pene fino alla metà. Questo non solo nel caso di una percentuale di corresponsabilità della vittima, ma anche se si documentano carenze nella struttura stradale, nella segnaletica, ecc. 

Insomma, può darsi che mi sbagli, ma pare che la media delle condanne, anche con l’aggiunta dei patteggiamenti, stia tornando in modo deludente vicino ai bassi limiti di pena precedenti. In proposito stiamo facendo come ASAPS uno studio per capire se le condanne a seguito della legge 41/2016 sono veramente di nuovo in regresso. Sarebbe veramente una grande delusione.  

Rimangono gli effetti degli arresti obbligatori nei casi di omicidio alcol e narco connesso, arresti quasi sempre domiciliari e per pochi giorni. Esclusi solo alcuni casi veramente eclatanti, come gli omicidi plurimi di Vittoria (Ragusa), con i due bambini travolti da un SUV condotto da un pregiudicato mentre erano seduti davanti a casa, vittime alle quali vennero amputate le gambe nel tentativo, non riuscito, di salvarle.

O il plurimo omicidio dei due fratellini di Alcamo (Trapani), per il ribaltamento della vettura condotta dal papà, il quale si stava facendo un selfie (o una diretta Facebook) mentre guidava. In entrambi i casi sono emerse per i conducenti, le ombre lunghe della cocaina. Ecco: se per casi come questi, ma anche tanti altri, non arriveranno pene non inferiori 12–15 anni, allora vuol dire che anche la legge 41/2016 in pratica non è servita a niente. 

Peraltro, con la carenza costante e cronica di controlli su strada peril contrasto all’alcol, alla droga, all’uso dei cellulari, certificati dal numero irrisorio di sanzioni contestate non possiamo minimamente pensare di invertire il trend della mortalità. 

Non esiste ancora educazione civica e stradale, non esistono forti campagne informative, i controlli sono veramente esigui e la percezione di farla quasi franca neiprocessi fa il resto. 

Se poi le condanne tornano ad essere quelle ante legge 41/2016, allora la battaglia non si vince proprio e la delusione per quanti si sono spesi senza risparmio per una maggiore sicurezza sulle strade è tanta. 

Appunti conclusivi. La modesta piccolissima miniriforma del Codice della strada che prevedeva anche la sospensione della patente alla prima violazione per uso del cellulare alla guida aveva iniziato il suo percorso alla Camera nell’ottobre del 2013 e si è spiaggiata nella primavera del 2018 alla fine della scorsa legislatura. La miniriforma ha iniziato il suo nuovo percorso nel 2018 ed è finita come sappiamo in totale alto mare. 

No, la sicurezza stradale in epoca Covid (ma anche prima) non interessa molto, anzi, forse per niente. Intanto nei dati del 2020 vedremo un calo netto degli incidenti dei morti e dei feriti sulle strade, ma grazie ai lockdown e ai coprifuoco notturni da Covid-19 appunto. E dopo? 

A cura di Giordano Biserni.
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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