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OGM o NBT: sappiamo cosa mangiamo?

19/7/2021

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Organismi geneticamente modificati e New breeding techniques: la differenza dov’è? E l’alternativa qual è?
Quando si parla di biotecnologie in agricoltura la gente comune, quella che studia, lavora, si muove e opera in altri settori, probabilmente non sa che l’agricoltura è un sistema artificiale complesso, che evolve a una velocità di gran lunga superiore a quella a cui evolve la natura.

​Le piante, avviene così da millenni, devono necessariamente modificarsi insieme all’ambiente in cui si trovano a crescere. E in questo processo l’innovazione gioca un ruolo determinante, consentendo di mettere a punto nuove varietà che utilizzano meglio fattori presenti in natura, come acqua e fertilizzanti, e che si difendono meglio dalle malattie. Non sono un genetista, ma un agronomo (e docente di economia agraria, ndr) prestato alla politica. E il dibattito sempre più acceso che è cresciuto negli ultimi tempi sul ricorso alle Nbt, o Tea (Tecniche di evoluzione assistita), conferma quanto lavoro vi sia ancora da fare anche da parte delle istituzioni europee. 

Per informare correttamente tutti i cittadini e consumatori di beni agroalimentari e arrivare presto a una nuova normativa, chiara e trasparente, che consenta di perseguire due obiettivi: da un lato, produrre di più e meglio per soddisfare i crescenti bisogni di cibo nel mondo; dall’altro, garantire la sicurezza alimentare nel rispetto dell’ambiente e della biodiversità.

Alla fine dell’aprile scorso la Commissione UE ha divulgato uno studio sullo status delle nuove tecniche di miglioramento varietale all’interno del quadro giuridico dell’Unione. Uno studio che ci auguriamo possa chiarire i dubbi lasciati da una sentenza della Corte di Giustizia Ue del luglio 2018, che di fatto non distingue in modo netto la transgenesi, con lo spostamento di geni da una specie all’altra, alla base degli Ogm, e mutagenesi, che al contrario, come avviene con le Nb, non fa altro che intervenire all’interno del patrimonio genetico di una pianta, accelerando processi che avverrebbero anche in natura, ma in tempi decisamente più lunghi.

La questione l’abbiamo sollevata anche noi della commissione Agricoltura del Parlamento Ue in un confronto web con esperti e ricercatori organizzato dalla piattaforma AgriProgress. Nell’occasione abbiamo sottolineato come un chiarimento di questa differenza fondamentale aprirebbe ai nostri agricoltori un’ulteriore possibilità nella transizione verso sistemi produttivi sempre più sostenibili.

Se vogliamo affrontare in modo pragmatico, e non pregiudiziale, gli ambiziosi obiettivi del Green Deal e delle strategie Farm to Fork e Biodiversity senza dissipare il potenziale produttivo europeo, dobbiamo infatti offrire valide alternative all’utilizzo di fitofarmaci, di fertilizzanti e di altri input produttivi. E queste alternative riteniamo non possano prescindere dall’innovazione tecnologica, in tutte le sue declinazioni, che spaziano dall’agricoltura di precisione alle nuove biotecnologie sostenibili.

Per questo lo studio della Commissione rappresenta solo il primo passo di un continuo confronto tra responsabili decisionali e stakeholder, che porti a una nuova normativa specifica sulle biotecnologie sostenibili, che tenga in considerazione la differenza fondamentale rispetto agli Ogm tradizionali.

Lo studio dell’esecutivo Ue indica che le nuove tecniche genomiche (Tea) nulla hanno a che vedere con gli Ogm, e anzi possono contribuire in modo  sicuro ed efficace a una produzione agricola sempre più sostenibile, in linea con il Patto con i consumatori lanciato dall’Unione europea, che da qui al 2030 punta a raggiungere target ambiziosi, come la riduzione del 50% di fitofarmaci e del 20% di fertilizzanti chimici, e l’aumento ad almeno il 25% della superficie coltivata con metodo biologico.

Alla base di questo studio c’è infatti l’evidenza scientifica dei progressi compiuti dalla ricerca negli ultimi vent’anni in materia di biotecnologie, superando di fatto la legislazione sugli Ogm che risale al 2001.

Le nuove biotecnologie sostenibili, a differenza degli Ogm tradizionali che prevedono il trasferimento di geni (transgenesi) tra specie diverse, si basano infatti sulla combinazione di geni intraspecie, con l’obiettivo di velocizzare processi che avverrebbero in modo naturale, arrivando a sviluppare varietà non solo sicure da un punto di vista di tutela ambientale e della biodiversità, ma soprattutto più resistenti a malattie e condizioni climatiche avverse, come la carenza d’acqua, e capaci di garantire maggiori rese produttive e quindi minori costi economici.

Ora, i risultati dello studio saranno sottoposti presto all’attenzione dei co-legislatori dell’Unione, Consiglio e Parlamento, con l’auspicio di arrivare presto al superamento della vecchia legislazione in materia, e della sentenza della Corte di Giustizia Ue che non ha chiarito sul piano normativo la differenza tra Tea e Ogm tradizionali: un passo in avanti fondamentale per fornire ai nostri produttori quelle alternative alla chimica che abbiamo sempre sostenuto siano necessarie per raggiungere gli ambiziosi obiettivi del nuovo Green Deal europeo.

Sono convinto che una nuova normativa in tal senso andrà incontro anche a tutti coloro che, soprattutto per motivi ideologici, continuano a criticare, o addirittura a screditare, queste biotecnologie sostenibili basate su evidenze scientifiche studiate in tutto il mondo per le quali, non a caso, due ricercatrici sono state insignite del Premio Nobel. 

Del resto, il principio di precauzione evocato da associazioni ambientaliste e del settore biologico è lo stesso che tutti noi, in Italia, decidemmo di anteporre anni fa quando mettemmo al bando gli Ogm, ritenendoli non necessari. Grazie alle biotecnologie agrarie sostenibili e alla conoscenza del genoma di molte colture sarà possibile esaltare la biodiversità e ridurre l’impiego della chimica nei campi. Senza contare che queste tecnologie sono alla portata di tutti, perché non richiedono investimenti colossali, sostenibili solo dalle multinazionali. 

Anche istituti sperimentali, piccole aziende sementiere e produttrici di presidi fitosanitari potrebbero mettere a punto e immettere sul mercato nuove varietà di piante più resistenti a stress climatici e a carenza d’acqua. 

A cura di Paolo De Castro.
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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