Ho già scritto che parlare di sinistri stradali e di vittime della strada in un inizio di anno che parte mentre siamo ancora di fronte alla tragedia di due drammatiche guerre può sembrare riduttivo e persino inopportuno.
Ma guardando bene i numeri degli “incidenti” stradali per i quali perdono la vita quasi un milione e duecentomila persone ogni anno ecco che vien da dire che siamo di fronte ad una vera “pandemia” come l’ha definita Jean Todt, inviato speciale Onu per la sicurezza stradale, presentando l’ultimo rapporto sui decessi sulle strade redatto dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Se i dati rilevano una leggera diminuzione (-5%) delle vittime della strada, i progressi sono giudicati insufficienti dall’Onu che ricorda come, con più di 2 morti al minuto, gli incidenti stradali rimangono la principale causa di morte tra i bambini e i giovani di età compresa tra i 5 e i 29 anni.
Secondo Jean Todt, ex copilota di rally francese e team principal di Formula 1 della Ferrari, “i risultati sono incoraggianti, ma il calo del numero di morti è insufficiente. Lo spietato rapporto, va ricordato, non conta i feriti in incidenti che possono soffrire di postumi e disabilità per decenni. Oltre alle drammatiche conseguenze per le famiglie delle vittime ed il costo astronomico per la società, stimato in 1.800 miliardi di dollari secondo l’Oms”. Una cifra enorme che potrebbe contribuire a sfamare e curare centinaia di milioni di abitanti di questo difficile pianeta.
Il rapporto commentato da Todt, infatti, ci dice anche che 9 decessi su 10 si verificano nei Paesi a basso e medio reddito e che il rischio di morte è 3 volte più alto nei Paesi a basso reddito che possiedono solo l’1% dei veicoli a motore del mondo. Come dire che proprio dove ci sono meno veicoli circolanti si muore di più. Perché? “Per obsolescenza del parco auto, l’accesso troppo facile alle patenti di guida o la mancata applicazione delle leggi. Il rapporto evidenzia come il 53% delle vittime della strada siano utenti vulnerabili, tra cui pedoni (23%), conducenti di veicoli motorizzati a due ruote (21%), ciclisti (6%) o utenti di monopattini elettrici (3%). Infine, sono ancora pochissimi i Paesi che hanno leggi contro l’eccesso di velocità, la guida in stato di ebbrezza, o il mancato uso del casco, delle cinture di sicurezza e dei sistemi di ritenuta per i bambini”.
A questa mole di dati potremmo aggiungere quelli di casa nostra. Fatemi dire che anche per il 2023 la previsione dell’ASAPS è quella che non ci scosteremo molto, ancora una volta, dallo zoccolo duro di 3.000 morti sulle strade, molti di più dei morti sul lavoro sommati agli omicidi volontari, tanto per darne la dimensione.
Come facciamo a dirlo? Mutuiamo i dati proprio dagli Osservatori ASAPS che ci dicono che solo negli incidenti del fine settimana nel 2023 fino a metà dicembre abbiamo contato 1.247 vittime (563 automobilisti, 431 motociclisti, 85 ciclisti, 143 pedoni e 27 su altri veicoli). Le nostre geolocalizzazioni alla stessa data segnano complessivamente nell’anno 413 pedoni e 189 ciclisti travolti e deceduti sulle strade. Aggiungiamo poi, visto che ne parla anche l’OMS, i 49 bambini morti nel 2023 al momento in cui andiamo in stampa, un vero record negativo rispetto ai 39 del 2022 e 29 del 2021.
Ecco allora che i dati per chiamare “pandemia” la mortalità stradale ci sono tutti.
L’argomento richiede subito le solite idee e misure datate, ma necessarie. Educazione stradale, messa in sicurezza del sistema strade, riforma del CdS (ma purtroppo è ancora in discussione da troppo tempo!) e controlli, controlli e controlli, con agenti sulle strade come in Francia dove Macron ha riaperto 238 “stazioni” e 3.500 uffici periferici di polizia, mentre da noi negli ultimi anni ne abbiamo chiusi a decine in una illogica bulimia dell’incompetenza per risparmiare qualche centinaio di migliaia di euro, al costo di tante vite e di tanti milioni spesi poi per la sanità.
Ma il vaccino per questa “pandemia” ancora proprio non si trova o non lo si vuole trovare.