La ratio che sta alla base di questa nuova regolamentazione non può che essere accolta con favore, dal mondo delle professioni in primis, ma più in generale anche dai cittadini. E ciò in quanto verrebbero ripristinati dei dati certi a cui riferirsi ed orientarsi nei casi di dubbio, ipotizzandosi una forbice con una valorizzazione minima e massima degli onorari dovuti per una prestazione professionale. Dunque, una proposta utile anche a fare chiarezza in materia di onorari. E ciò in quanto consentirà di rendere nulle le clausole contrattuali, che collocano la remunerazione al di sotto dei parametri minimi vigenti per orientare il magistrato nella soluzione del contenzioso. Una proposta normativa che tutela la necessità di dare un giusto riconoscimento alla prestazione libero professionale, soprattutto a tutela dei giovani per permettere loro di costruirsi un percorso lavorativo dignitoso.
Le norme contenute nel DDL 2858 provvedono, dunque, alla disciplina di un aspetto fondamentale dell’esercizio delle libere professioni ordinistiche, che lungi dal rappresentare un ostacolo alla libera concorrenza, ne costituisce invero un momento di garanzia di virtuosità e di tutela degli utenti in ordine alla qualità della prestazione. È possibile così confinare le pratiche scorrette, fondate esclusivamente sull’accaparramento della clientela in base ad una offerta della prestazione con compensi irrisori, al di fuori delle dinamiche legittime del mercato del lavoro professionale.
I tempi sono evidentemente maturi, perché alle norme di settore (Legge 31 dicembre 2012, n. 233, sull’equo compenso dei giornalisti) ed alla giurisprudenza più recente, che assegna rilievo al rispetto ragionevole dei compensi minimi determinati dal decreto sui parametri professionali, ritenendo espressamente la violazione del principio del decoro della professione, attualizzando così il mai abrogato art. 2233 del codice civile (Corte di cassazione, 30 novembre 2016, n. 24492), si accompagna adesso la Legge 22 maggio 2017, n. 81. Quest’ultima, attuando finalmente i princìpi risalenti dell’art. 35 Cost., si propone dichiaratamente la tutela del lavoro (e dei lavoratori) autonomo(i). Il disegno di Legge in esame si pone perciò quale completamento fisiologico del percorso intrapreso con le norme introdotte a tutela del lavoro autonomo. Ne costituisce il corollario naturale, nonché momento essenziale di attuazione e garanzia di efficacia concreta di quelle norme, consentendo di colmare quel malinteso gap interpretativo che nel tempo ha relegato ai margini dell’interesse del Legislatore la pur amplissima area del lavoro autonomo, non sconosciuta ai padri costituenti, che all’art. 35 della Costituzione avevano invece ben inteso fissare il lavoro – tout court – al centro degli obiettivi di tutela e promozione sociale.
È dunque attuale l’esigenza esplicita di tutela del lavoratore autonomo, riconosciuta dalla citata legge n. 81/2017, che individua nelle proprie norme cardine la tutela dei pagamenti del compenso del lavoratore autonomo ed il riequilibrio contrattuale, quest’ultimo viziato dalla debolezza economica di fronte al committente, ponendoli come momenti fondamentali per apprestare la tutela perseguita. È così che l’art. 2 tutela il lavoratore autonomo dai ritardi nei pagamenti e l’art. 3 dall’abuso di dipendenza economica. Il diritto al giusto compenso (nei tempi e nei modi della sua determinazione) è perciò conclamato e gode di proprie norme di diritto positivo, contro ogni potenziale squilibrio contrattuale concreto, determinato da ragioni ontologiche, sociali o pattizie.
Acclarato il diritto al compenso giusto, la concretizzazione di tale principio non può prescindere dalla sua determinazione concreta: il compenso deve essere corrisposto con adeguatezza di tempi, modi e quantità. Ecco allora la necessità – fisiologica – di norme che disciplinino il concetto di equo compenso, in maniera evidentemente concreta, tale da attuare i princìpi costituzionali ed ancorare gli orientamenti giurisprudenziali più recenti ad un dato obiettivo. Compenso equo, inteso come diritto alla corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, tenendo conto della natura, del contenuto e delle caratteristiche della prestazione professionale, secondo i criteri costituzionali ed i limiti di cui al già ricordato art. 2233 c.c.. Ciò secondo la previsione di criteri ragionevoli per stabilirne la determinazione concreta, senza svilire la discrezionalità del giudice nel valutare, caso per caso, le patologie del rapporto, momento necessario per accompagnare alla certezza del diritto la concretezza del provvedimento, attagliato alle specifiche esigenze di ogni diversa fattispecie.
Nel suo complesso, l'articolato del DDL 2858 riporterebbe le lancette al tempo in cui la giusta remunerazione della prestazione professionale era considerata condizione per garantire la qualità, quantità, ma soprattutto la dignità del lavoro dei professionisti. Ne uscirebbero cosi ridimensionati, se non annullati, quei provvedimenti che avevano eliminato ogni riferimento tariffario richiamando e facendo prevalere la logica del mercato e della concorrenza. Richiami che certamente non arrivano dagli ambienti comunitari, dove invece le tariffe professionali per gli iscritti agli Ordini sono vive e vegete, nonché obbligatorie e inderogabili, a pena di violazione deontologica con conseguenze disciplinari. In un momento di grande sentimento europeista, questo disegno di Legge ne interpreta pienamente le radici. E per questo è auspicabile che il percorso parlamentare sia privo di modifiche sostanziali al testo, cioè rapido e indolore.
A cura di Rosario De Luca