È necessario partire da altre due domande rilevanti: perché il Qatar ha voluto ospitare il Mondiale? E ancora, come è arrivato ad essere il miglior candidato? Il peso politico di questo giovane stato è aumentato in maniera esponenziale, di pari passo con la propria ascesa economica. Arricchitosi come quasi tutto il mondo arabo grazie ai giacimenti di petrolio e di gas naturale, diventa in breve tempo partner fondamentale per la fornitura energetica di molti paesi.
Anticipando una tendenza oggi molto presente nei paesi del Golfo, nello stesso periodo il Qatar ha iniziato a diversificare la propria economia, creando un fondo sovrano da 170 miliardi di dollari per impressionanti investimenti in tutto il mondo (quote di banche, società calcistiche, case automobilistiche, acquisizioni immobiliari). Il desiderio del Qatar di diventare un attore chiave sulla scena internazionale si è sostanziato nell’utilizzo dello sport come potente veicolo, in particolare tramite l’organizzazione di importanti eventi sportivi in molte discipline e la sponsorizzazione di grandi club calcistici.
Ma il vero fiore all’occhiello per l’Emiro Tamim al-Thani è stata la vittoria del bando per ospitare i Mondiali di Calcio del 2022, un evento di rilevanza globale, al pari delle Olimpiadi e delle Esposizioni Universali (EXPO), capace di catalizzare l’attenzione di quasi tutto il pianeta. A che prezzo tuttavia il Qatar si è fatto carico dell’organizzazione del Mondiale? Il dato che di certo colpisce di più è legato agli infortuni e alle morti sul lavoro: l’aggiornamento a febbraio 2021 pubblicato dal Guardian stima si tratti di 6.751 lavoratori migranti morti nella costruzione delle infrastrutture necessarie. La causa è da ricercare nelle difficilissime condizioni lavorative e nelle squallide condizioni degli alloggi, rese legali da un particolare rapporto di sponsorship che vincola un lavoratore migrante al suo datore di lavoro.
In pratica, una delega da parte dello stato permette ad un datore di lavoro di ottenere la responsabilità di vigilare sull’immigrazione e sullo status occupazionale del lavoratore migrante stesso, togliendogli di fatto il libero arbitrio e creando uno squilibrio di poteri legati alla gestione non solo del rapporto lavorativo ma anche della libertà individuale, impedendo di fatto l’uscita dal paese senza il consenso dello sponsor neanche per tornare a casa propria. Inoltre, da recenti indagini, è emerso che tra i lavoratori migranti siano infiltrati alcuni informatori che operano sotto copertura. Si pensa che vengano introdotti nelle residenziali non solo per recuperare informazioni sul lavoro degli organismi per i diritti umani, ma per identificare e reprimere qualsiasi tipo di dissenso.
A fronte di una simile situazione, a contrastare le quasi del tutto inesistenti reazioni internazionali, è nato il movimento #BoycottQatar2022: saprà costringere governi e organismi internazionali, sportivi e non, ad affrontare la questione delle morti sul lavoro e, più in generale, del rispetto dei diritti umani in Qatar?