La strada privilegiata è incentivare gli investimenti europei sfruttando le grandi potenzialità del mercato unico, dando fiducia alle nostre imprese e alla loro straordinaria capacità di innovare in moltissimi settori, dal siderurgico all’agroalimentare, dall’automotive alla meccanica, dalla chimica allo spazio e al farmaceutico. Sostenere i nostri imprenditori significa affiancarli con i migliori strumenti legislativi e finanziari, senza pretendere di orientarne i piani con forzature politiche ideologiche.
L’espansionismo aggressivo da parte di Pechino e la necessità di stare al passo degli Stati Uniti, determinati a fronteggiare, forti della loro indipendenza energetica e dell’Inflaction reduction act (Ira), la sfida sistemica posta dall’avversario cinese, rendono quantomai urgente l’elaborazione da parte di Bruxelles di un piano europeo pluriennale, che sia adeguato in termini di portata finanziaria, efficacia normativa e lungimiranza politica, sfociando in un supporto duraturo e affidabile alle nostre imprese, le uniche in grado di generare valore e posti di lavoro. La strada maestra non può essere un allargamento delle maglie degli aiuti di Stato, che vedrebbe avvantaggiati i Paesi europei con i margini di bilancio più ampi, mentre penalizzerebbe quelli più indebitati. La risposta deve essere corale ed europea. È indispensabile unire le forze dei bilanci statali dei Paesi membri, dando vita in tempi brevi ad un fondo sovrano europeo che metta in campo le risorse finanziare necessarie ad uno sviluppo armonico dell’intera Unione, resistendo alla tentazione, purtroppo sempre presente, di dividersi. Sul piano giuridico, l’impianto di questa nuova politica industriale dovrà perseguire l’obiettivo della parità di condizioni sul mercato internazionale per la nostra industria, reagendo con forza ai tentativi di dumping operati da potenze straniere, denunciandoli senza timidezza nelle sedi competenti e presso l’Organizzazione mondiale del commercio e, contestualmente, elaborando provvedimenti mirati a contrastarle grazie ad un’intesa solida tra Commissione, Consiglio ed Europarlamento.
Tra le dinamiche distorsive che più minacciano la tenuta del nostro tessuto socio economico, ve ne sono di particolarmente insidiose nell’ambito degli investimenti esteri diretti sui territori dell’Unione europea, soprattutto nell’attuale fase di passaggio. Mi riferisco all’impatto industriale della transizione verde e della decarbonizzazione, di cui lo stop al motore diesel e benzina dal 2035 costituisce forse uno degli aspetti più critici e controversi. Il divieto di produrre veicoli a motore endotermico ha provocato un’accelerazione verso la mobilità elettrica. La domanda di auto elettriche aumenterà, e con essa quella delle relative batterie, oltre il 70% delle quali oggi è prodotto in Cina. Qui sta il punto. Se l’effetto economico del Green deal sarà consegnare la nostra industria automobilistica, che ricopre un ruolo chiave nell’Ue, ad una dipendenza strutturale dai giganti cinesi, la politica europea orientata alla decarbonizzazione si rivelerà un boomerang, una strategia fallimentare destinata a mancare drammaticamente l’obiettivo dell’autonomia.
La pandemia da Covid e la guerra russa all’Ucraina hanno confermato l’urgenza di potenziare le filiere europee nei settori chiave. L’accelerazione verso l’elettrico mette però la Cina in una posizione di vantaggio competitivo, a cominciare dalle batterie, settore nel quale non solo le aziende cinesi sono leader globali ma stanno anche aumentando sensibilmente gli investimenti negli Stati Ue. Secondo stime recenti, infatti, nei prossimi anni una quota rilevante della capacità produttiva su suolo Ue di batterie per veicoli elettrici proverrà da aziende asiatiche, in primo luogo cinesi.
La partita è cruciale. In gioco c’è il destino della nostra industria e di migliaia di posti di lavoro. Per queste ragioni ho presentato un’interrogazione al Parlamento europeo sollecitando un intervento della Commissione, per perseguire l’autonomia strategica di fronte alla presenza crescente e massiccia di investitori extra-Ue nella realizzazione di gigafactory negli Stati membri, fenomeno che rischia di aumentare pericolosamente la dipendenza dall’estero della nostra industria automobilistica, le cui dinamiche verrebbero seriamente condizionate.
E’ fondamentale ridurre la dipendenza estera nelle materie prime indispensabili alla catena di approvvigionamento nell’elettrico, sostenere la riconversione delle filiere europee dell’automotive e raggiungere l’autonomia strategica nell’elettrificazione dei trasporti. La Commissione deve sostenere le imprese Ue sul modello dell’Ira americano e introdurre limiti selettivi agli aiuti e agli incentivi statali destinati a produttori non europei di batterie, aumentando nel contempo i fondi all’European battery alliance, la piattaforma di collaborazione tra pubblico e privato lanciata alcuni anni fa per promuovere lo sviluppo e la produzione europea di batterie.