Una panoramica puntuale ed esaustiva sui fenomeni migratori in atto, e sulle ricadute positive che questi hanno sul tessuto economico e sociale del nostro Paese, ci viene fornita dal Dossier Immigrazione di IDOS, edito ad ottobre 2016, dal quale si evince che secondo le ultime stime sono 260 milioni nel Mondo le persone che si sono mosse dal loro Paese di origine per vivere altrove. Di queste, 60 milioni hanno abbandonato il proprio luogo di nascita perché non c’erano più le condizioni per vivere una vita dignitosa e sicura. In Italia gli immigrati residenti costituiscono l’8,3% della popolazione. Si tratta di soggetti che, vivendo stabilmente sul territorio italiano, svolgono una vita attiva anche dal punto di vista lavorativo, tanto da produrre ricchezza per circa 120 miliardi di euro.
In particolare, si riscontra l’elevata incidenza dei lavoratori immigrati sull’occupazione nel suo complesso: secondo l’ISTAT sono almeno 2.360.000 gli stranieri occupati e residenti in Italia. Questa importante componente della nostra forza lavoro, in aumento rispetto al 2014, si traduce spesso in un sostegno ai sistemi locali e ai distretti produttivi. Infatti, in base ai dati ASIA (Istat) dal 2008 al 2014 le imprese italiane sono diminuite di circa il 7% mentre quelle immigrate sono cresciute di quasi il 6%. Questi dati evidenziano l’importanza e la centralità dell’imprenditoria immigrata sia come elemento di internazionalizzazione dell’economia che di integrazione dei migranti nel nostro sistema produttivo e socio-economico.
Nel passaggio da un sistema di Welfare state ad uno di Welfare society, il peso della componente immigrata nella gestione dei servizi domestici e di cura familiare appare determinante e sostanziale. Nel solo 2015, su circa 890.000 lavoratori domestici contrattualizzati, oltre 670.000 sono stranieri. Tuttavia, se si calcolano anche i lavoratori irregolari le proiezioni finora prodotte attestano ad oltre il milione e mezzo gli assistenti familiari e si calcola che la crescita della domanda porterà il numero dei collaboratori a due milioni e 151.000 nel 2030.
Accanto al comparto dei servizi, che assorbe gran parte del lavoro straniero, va menzionato - anche alla luce delle novità normative in materia di contrasto al caporalato - quello relativo all’agricoltura, che impiega, secondo l’Istat, il 3,8% dell’intera forza lavoro occupata. Gli stranieri, in particolare, hanno raggiunto una presenza significativa nel sistema agricolo nazionale, portando anche alla ribalta il grave fenomeno del lavoro nero e dello sfruttamento del lavoro nel settore primario. Lo scorso 18 ottobre il Parlamento ha approvato in via definita le Legge che mira a contrastare e combattere il fenomeno del caporalato. La principale novità del provvedimento riguarda la riformulazione del reato di caporalato, che introduce la sanzionabilità del datore di lavoro nei casi in cui assume o impiega manodopera in condizioni di sfruttamento, anche attraverso intermediari, approfittando del loro stato di bisogno. Diversi i nuovi strumenti a disposizione: dal rafforzamento dell'istituto della confisca e di altre misure cautelari per l'azienda in cui viene commesso il reato, alla concessione di attenuanti in caso di collaborazione con le autorità, sino all'arresto obbligatorio in flagranza di reato.
Sotto un profilo quantitativo il contributo della componente migratoria si conferma essere centrale per la crescita del nostro sistema economico ancor più se si analizza il versante della spesa pubblica. L’Italia infatti, nel 2014, si stima abbia speso per la popolazione straniera circa 14,7 miliardi di euro in giustizia, sicurezza, sanità, scuola, servizi sociali, trasferimenti monetari diretti, a fronte di quasi 17 miliardi versati dagli immigrati, con un utilizzo peraltro estremamente contenuto delle forme pensionistiche da parte di quest’ultimi.
Considerato l’attuale scenario migratorio, oggi più che mai il termine “accogliere” deve assumere, oltre le classiche accezioni di soccorso e prima accoglienza, significati che rimandano a una visione del migrante come espressione di una storia personale ricca di conoscenza, potenzialità, cultura e competenza. Significa accogliere pensando sin dal primo momento al giorno dopo. In questo senso, gli sforzi degli Stati membri devono indirizzarsi verso delle “soluzioni durevoli” capaci di rendere il cittadino migrante una risorsa attiva nella società di arrivo attraverso lo sviluppo di politiche di integrazione sostenibili nel lungo termine. Una risposta al fenomeno migratorio che tenga in considerazione allo stesso tempo le esigenze della società di arrivo e quelle delle comunità dei migranti, basata sul concetto di integrazione come processo bidirezionale.
Al fine di favorire un solido percorso di integrazione è necessario quindi puntare su azioni che rafforzino l’autonomia dei migranti, attraverso la promozione di interventi strutturali e integrati di inserimento socio lavorativo. Oggi, fra i principali ostacoli che determinano la “distanza” dal mercato del lavoro ci sono fattori come, ad esempio, il mancato riconoscimento e certificazione delle competenze professionali e dei titoli acquisiti nei Paesi di origine, l’assente o scarsa conoscenza della lingua italiana, i traumi psicologici subiti, il livello di competenza spesso inadeguata, i fenomeni di discriminazione. Per questo motivo è fondamentale basare gli interventi mirati all’inserimento socio-lavorativo su “Piani di Intervento Personalizzati” che tengano in considerazione i bisogni e le reali capacità di ciascun migrante.
Sotto questo profilo il Ministero del Lavoro ha promosso il progetto INSIDE, che assegna 672 doti individuali di inserimento socio-lavorativo costruendo percorsi personalizzati ed erogando servizi e misure di politica attiva del lavoro finalizzati a qualificare le competenze e favorire l’occupazione dei titolari di protezione internazionale. Anche il progetto PERCORSI per la formazione, il lavoro e l’integrazione dei giovani migranti prevede la realizzazione di 960 percorsi di integrazione personalizzati a favore di minori stranieri non accompagnati in fase di transizione verso l’età adulta e giovani migranti fino ai 23 anni.
Un’altra importante iniziativa volta a perseguire l’obiettivo di un modello di società inclusiva e alla realizzazione di percorsi di integrazione lavorativa, è il progetto “Welcome - working for refugee integration”. Il progetto, realizzato insieme a UNHCR e Confindustria, e patrocinato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, permetterà alle aziende che si distingueranno nel favorire l’inserimento professionale dei rifugiati o che avranno incoraggiato attività di autoimpiego, di ricevere un logo che potranno esporre ed utilizzare nelle loro attività di comunicazione.
L’appartenenza ad una comunità, però, comporta anche un agire per la comunità di cui ci si sente parte. In tal senso, possono assumere un rilievo fondante le attività di volontariato per l’inclusione dei migranti nella società di accoglienza; in questo modo si raggiunge il duplice scopo di offrire alle persone migranti un’occasione di costruire competenze professionali e personali e allo stesso tempo mostrare in modo palese alla società di accoglienza il loro contributo al senso di comunità. Su questa linea il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e il Ministero dell’interno stanno lavorando insieme per sviluppare azioni volte a garantire il percorso di integrazione socio-lavorativa dei titolari di protezione internazionale e di protezione umanitaria anche attraverso progetti di Servizio Civile Nazionale.
Le migrazioni internazionali sono dunque un’opportunità, sia per chi lascia il proprio Paese in cerca di migliori condizioni di vita sia per le nazioni ospitanti, per lo più avanzate, dove l’invecchiamento demografico alimenta il conflitto di interessi intergenerazionale, minaccia la sostenibilità dei sistemi di welfare e rallenta il progresso economico. I loro vantaggi dipendono in parte dalla nostra capacità di integrare realmente i nuovi arrivati. È nostra responsabilità offrire loro gli strumenti necessari perché si avvii un percorso di inclusione socio-lavorativa. Solo in questo modo i nuovi cittadini potranno contribuire alla promozione dello sviluppo economico e socio-culturale del Paese di arrivo. La riflessione sulle migrazioni non può essere dunque disgiunta da quella sull’integrazione, poiché si tratta di due facce della stessa medaglia. E la riflessione sull’integrazione non può essere separata da quella sull’inserimento socio-lavorativo. Il binomio lavoro/integrazione - l’idea che non ci sia integrazione senza lavoro, né lavoro senza integrazione - rappresenta una chiave imprescindibile in questo contesto.
A cura di Lugi Bobba