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Maternità e lavoro, un binomio spesso inconciliabile

27/10/2021

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La scarsa natalità è da tempo un problema con cui l’Italia è costretta a fare i conti e che incide negativamente sul benessere stesso del nostro Paese sia in termini economici che sociali.
Perché allora nel nostro Paese nascono sempre meno bambini?

​Partiamo da un dato: l’Italia ha i tassi di occupazione femminile tra i più bassi in Europa e le statistiche dimostrano che 25.000 donne all’anno lasciano il lavoro dopo la prima nascita. Ma vi è di più.

Una donna su quattro sceglie di non mettere al mondo un figlio per evitare di dover rinunciare al posto di lavoro faticosamente conquistato.

Per tante donne lavoratrici, quindi, una gravidanza sul luogo di lavoro diviene quasi un tabù, per alcuni datori di lavoro una minaccia da scongiurare già in sede di colloquio: avere o desiderare di avere un figlio diventa quindi una scriminate nella scelta della candidata.

Dunque, fare un figlio per tante donne significa rinunciare alla propria carriera professionale, significa scegliere tra lavoro e famiglia o, spesso, essere rifiutate per un lavoro.

Le politiche di welfare, infatti, sono ancora estremamente deboli per poter supportare adeguatamente le donne che si affacciano ad un nuovo percorso di vita, la maternità in Italia continua ad essere una fonte di rischio per le donne rispetto al mantenimento dell’occupazione, alla ricerca di un lavoro e, pertanto, per garantire loro una sicurezza economica.

Allo stesso tempo, la nostra cultura contiene ancora evidenti tracce di arretratezza sul tema: se un padre che accudisce un figlio viene definito “mammo” significa che siamo profondamente indietro rispetto a tanti altri Paesi in cui costituisce normalità per un padre ed una madre assumersi in modo condiviso le responsabilità di cura dei figli.

A ciò si aggiunge che l’Italia è il terz’ultimo paese OCSE, davanti a Turchia e Messico, per livello di partecipazione femminile nel mercato del lavoro. Meno del 30% dei bambini al di sotto dei tre anni usufruisce dei servizi all’infanzia e il 33% circa delle donne Italiane lavora part-time per conciliare lavoro e responsabilità familiari (la media OCSE è 24%).

Sono necessarie politiche di welfare ed una profonda ristrutturazione culturale che metta al centro la famiglia e la condivisione dei compiti della coppia senza lasciare come ahimè tutt’oggi accade, il peso dei compiti familiari solo sulla donna.

Diversi studi hanno inoltre dimostrato che con un maggior coinvolgimento lavorativo delle donne si avrebbe un esponenziale aumento del Pil ed è per questo che ritengo che stare dalla parte delle donne significhi stare dalla parte di tutti i cittadini.

È necessario che si intervenga con strumenti ed iniziative che favoriscano da un lato le donne nell’inserimento o reinserimento a lavoro, e dall’altro, incentivino le imprese e le lavoratrici autonome attraverso strumenti adeguati di supporto che sostengano la conciliazione di vita professionale e vita privata. La maternità per le donne non può essere un limite.

A cura dell'On. Elisa Scutellà.
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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