I campi di concentramento sono stati teatro della vergogna di atrocità senza limiti: violenze, costrizioni, fame, maltrattamenti, esperimenti scientifici su esseri umani che diventavano cavie.
Tutto celato dalla dicitura “Arbeit macht frei”, il “Lavoro rende liberi” all’ingresso dei lager: spazi simbolo di un genocidio su cui ancora oggi dobbiamo interrogarci. C’è chi sostiene che l’Olocausto non sia mai esistito, chi ancora nega l’evidenza del male di quegli anni. Una scelta ancora più riprovevole di quelle fatte in passato: per non dimenticare, il 27 gennaio celebriamo il Giorno della Memoria, per commemorare le vittime dell’Olocausto.
Dei cinquanta milioni di morti della Seconda Guerra Mondiale, sei milioni furono Ebrei sterminati nei campi di concentramento nazisti: uomini, donne, vecchi, bambini, furono dapprima perseguitati con le leggi di discriminazione razziale, poi raccolti e segregati, in modo metodico e sistematico, nei lager, marchiati con un numero, come se fossero animali. Infine, furono lasciati morire di fatiche e di stenti. Molti furono uccisi nelle camere a gas. Intere comunità furono cancellate.
Ancora oggi, 75 anni dopo la scoperta degli orrori dello sterminio nazista, il virus dell’antisemitismo persiste con pervicacia, riesumando da un lato vecchi stereotipi e pregiudizi sugli ebrei e dall’altra producendo nuove farneticanti falsità storiche.
Tra le persone serpeggia tutt’oggi lo spirito di terrore e mancanza di fiducia nei confronti dello “straniero” e del “diverso”. Per cercare di abbattere questo muro nel corso di questi anni sono state messe in campo campagne governative volte a combattere ignoranza, paura indotta e divisioni. In tal senso, c’è ancora molto da fare ma le Istituzioni non devono mai smettere di dare il giusto esempio.
Lo scorso 27 gennaio, il Consiglio dei Ministri, in occasione della Giornata della Memoria, ha ribadito l’impegno a promuovere e a rafforzare la memoria dell’Olocausto e a contrastare l’antisemitismo in tutte le sue forme.
A tale scopo il Governo fa riferimento al documento Ihra (International Holocaust Remembrance Alliance) sull’antisemitismo, di cui si è già approvata la definizione, quale punto di partenza per un percorso di ricognizione delle espressioni e delle condotte di antisemitismo.
Personalmente, anche da dirigente scolastica sono sempre stata molto attenta al tema dell’Olocausto, vivendo la Giornata della Memoria a scuola, insieme ai miei studenti, come un momento importantissimo di costruzione di una cultura identitaria e sulla conoscenza di fatti storici innegabili, incontestabili e di certo, vergognosi.
Da Deputata della Repubblica Italiana, quest’anno, per il 75esimo anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz e il 20esimo dall’istituzione della ricorrenza, ho partecipato alla manifestazione organizzata a Campagna dalla Prefettura di Salerno insieme alle scuole del territorio. La cerimonia si è svolta nella cattedrale cittadina, alla presenza delle autorità e di varie rappresentanze scolaresche della provincia di Salerno che hanno esibito dei progetti a tema.
Leggere i 400 nomi dei deportati nei Lager di Campagna impressi nel freddo ferro del Memoriale realizzato in occasione della Giornata della Memoria è stato per me, motivo di forte emozione e commozione.
Un momento per ricordare una delle pagine più orribili della nostra Storia, affinché tragedie del genere non accadano mai più. Significativa è stata anche la cerimonia di conferimento delle medaglie d’onore alla memoria a Antonio Capozzoli e Giuseppe Robertazzi, due internati in Germania dal 1943 al 1945.
Infatti, Campagna fu teatro delle vicende umane e professionali di monsignor Giuseppe Maria Palatucci, vescovo della Diocesi di Campagna dal 1937 al 1961, e del nipote Giovanni Palatucci, ultimo Questore di Fiume durante l’occupazione nazista. La loro opera consentì di salvare la vita a numerosi ebrei e a tanti perseguitati. Non è un caso che la città è croce d’oro al valore civile e viene chiamata “Città dei giusti”.
Un barlume di speranza nel Medioevo dell’Umanità che colpì l’Europa negli anni della Seconda Guerra Mondiale. La storia di pochi piccoli uomini che fecero quanto in loro potere per salvare vite umane, per fare la differenza. Nonostante le testimonianze così toccanti di questi anni, i racconti scioccanti dei sopravvissuti e i documenti storici sull’orribile tragedia dell’Olocausto, la nostra Europa ha ancora molto da imparare da un punto di vista culturale.
Nel 2019, la Commissione europea ha pubblicato i risultati della più ampia indagine sull’antisemitismo mai realizzata a livello continentale: su 27.634 ebrei europei intervistati nei 28 Paesi membri, l’89% ritiene che l’antisemitismo sia cresciuto in maniera significativa negli ultimi cinque anni.
Come ha sostenuto Primo Levi, è necessario che la memoria dell’Olocausto non muoia, ma passi di generazione in generazione, nessuno deve dimenticare le atrocità del sistema nazista e tutti devono riflettere sul pericolo, sempre ricorrente, che i principi del razzismo tornino ad avere il sopravvento e producano di nuovo le barbarie dei lager. È per questo che è importante che ci si allarmi alla constatazione che il nostro mondo è ancora così poco sensibile sul tema.
Nonostante il lavoro di moralità fatto da legislatori, docenti, scrittori, registi e cantautori, la mole di parole d’odio che rimbombano anche sulla lente di ingrandimento del web e dei social network rischia oggi di coprire il peso del silenzio di un popolo sterminato.
Un silenzio che noi dobbiamo rispettare e ricordare: abbiamo il dovere di combattere l’odio con la cultura e reagire con azioni concrete contro l’antisemitismo e il razzismo, per il bene delle future generazioni.
A cura dell’On. Virginia Villani.