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L’Italia vuole ancora prendere l’autobus?

2/12/2015

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​Più autobus prodotti significano viaggi più sicuri ed economia in crescita: un’esigenza prioritaria per il Paese. 
Da anni i lavoratori e le lavoratrici della ex-Irisbus, azienda chiusa da Fiat per produrre autobus in Francia, si battono affinché in Italia resti questa produzione che tanto serve al nostro Paese.
Ma nessun Governo, ben quattro negli ultimi quattro anni, ha davvero affrontato seriamente questo grave problema che in un Paese civile dovrebbe essere prioritario, sia per la pericolosità dei mezzi che circolano nelle nostre città sia per le polveri sottili da abbattere, che rappresentano un costo per la sanità proprio per la scarsa qualità della vita dei cittadini.
Un mercato dell’autobus che vede l’Italia indietro rispetto ai maggiori Paesi europei, i quali vedono crescere sempre di più immatricolazioni di nuovi mezzi ecosostenibili: nei primi otto mesi del 2015, la Francia ha immatricolato 4.704 bus nuovi, il Regno Unito ben 5.466, la Germania 3.571, mentre l’Italia solo 1.714.
Se si pensa che in Italia la nuova società che ha rilevato la ex-Irisbus e la ex-Bredamenarini, la I.I.A. S.p.A, nei primi otto mesi del 2015, ha immatricolato solo 99 mezzi, mentre Iveco (Fiat) che ha chiuso lo stabilimento italiano, ha venduto in Italia, nello stesso periodo, 521 mezzi nuovi, si ha ben raffigurato un paradosso tutto nostrano!
È un Paese, il nostro, che non ha a cuore la serenità e la salute dei propri cittadini pendolari che, tutti i giorni, fanno i conti con tanti disservizi e con il rischio di salire su autobus pericolosi per la loro incolumità, che troppo spesso prendono fuoco e su cui solo la solerzia degli autisti, finora, ha evitato il peggio.
Siamo in presenza di una politica assente e distratta su questo argomento, incapace di investire in un settore strategico per l’economia e l’industria del Paese.
Alcune settimane fa, il Ministro francese Emmanuel Macron, durante una visita presso lo stabilimento Iveco di Annonay tenuto in vita da Fiat sacrificando lo stabilimento italiano, chiuso nel 2011, ha sottolineato che la legge sulla liberalizzazione dell’economia ha prodotto, in tempi brevissimi, 700 nuovi posti di lavoro, 250.000 passeggeri già trasportati contro i 110.000 del 2014.
Inoltre, la liberalizzazione del settore avrebbe già assicurato un incremento del 15% degli ordini per il sito francese Iveco, un incremento che favorirà altre assunzioni di 50 unità, in una fabbrica dove sono già al lavoro 1.300 addetti.
Si può capire ora perché i lavoratori e le lavoratrici italiani accusano la politica, che non crede in uno dei settori strategici dell’industria italiana, finanziandolo, e supportando il rilancio dell’unica industria italiana del comparto, fortemente voluta dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Claudio De Vincenti, e spesso portata ad esempio di vertenza risolta dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, quando deve parlare del Sud.
Insomma, un Paese alla deriva… Dove andrà a sbattere?


A cura di Silvia Curcio ​
© Gente in Movimento - riproduzione riservata

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